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Rieti, 26 novembre 2022 – 2 febbraio 2023

La Basilicata nuovamente protagonista nella “Valle del primo presepe” con un’iniziativa che si inserisce nell’ambito delle celebrazioni organizzate in occasione dell’ottavo centenario del primo Presepe, concepito da San Francesco nel 1223.

Alcuni fra i più prestigiosi presepi d’autore, conservati nel Museo Internazionale del Presepio “Vanni Scheiwiller” di Castronuovo Sant’Andrea (PZ), sono infatti esposti nel Salone Papale di Rieti, oggetto di visita del Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, che ha sottolineato il ruolo centrale che il Presepe occupa fra i simboli della cristianità.

I Presepi del Museo di Castronuovo Sant’Andrea a Rieti:

Il presepe alluminato di Carlo Lorenzetti, 1998, alluminio

La solenne e sacra rappresentazione di Lorenzetti ha poche ma icastiche immagini di uomini e di animali. La vera protagonista è Maria, che distende intorno lampi di vivace leggiadria, senza intaccare il tono del racconto carico di riferimenti al linguaggio teatrale che definisce dimensioni, posizioni, ruoli, unità, stabilità e valore domestico della macchina presepiale per sottrarla all’elemento bucolico, alla finzione, alla polimatericità che, dopo la settecentesca stagione napoletana, ancora la qualifica.

Il presepe foresta di Roberto Almagno, 2001, legno

L’intensità espressiva che risulta da queste forme disegnate nello spazio con mano sicura, con linee franche e rapide, calibrate nelle proporzioni e nei dettagli, passando con scioltezza dalla silhouette della capanna a quella della stella cometa, dell’asino, dell’Angelo Annunciante, dell’albero, del pavone, del dromedario, spande un silenzio e un’armonia che sfora gli angusti confini del presepe e invoca, senza scampo, come diceva Longhi della scultura dipinta del Duecento, la provocazione del colore.

Il presepe svelato di Ernesto Porcari, 2002, ferro

Il presepe, costruito soprattutto d’aria che si coagula tra i fili metallici e le vesti di cartapesta, viene come rapito in un luogo remoto, quasi un viaggio nell’aldilà raccontato col ferro e l’alluminio, senza mai perdersi nell’espressione concreta e diretta propria dell’Apocalisse di Giovanni se non della scultura a cui Porcari fa costantemente riferimento.

Quanto l’immagine del presepe sia ora reale, genuina, e non frutto di semplici meditazioni, sono proprio i personaggi a dichiararlo, annunciati, insieme a Gesù Bambino, da quell’angelo che si apre a ventaglio su tutto lo spazio scenico per assorbirne, insieme alla stella cometa, la carica profetica e in tal modo penetrare nel più profondo del cuore umano.

Il candido presepe di Salvatore Sava, 2006, pietra leccese e ferro

Un presepe come omaggio al paese, alla sua gente, alle famiglie di contadini tra i quali era cresciuto e che, senza volerlo, si scoprono collocati al centro del recinto.

Il Bambino, Giuseppe e Maria sono, allora, l’emblema del fuoco domestico, della “casa-famiglia” portata a una sintesi estrema, ridotta a una pura struttura, alla forma squadrata e appena sbozzata della pietra leccese.

L’iterazione dei soggetti, dalle grandi membra e dalle piccole teste, estremamente semplificate e colte in un movimento appena accennato, diventa un vero e proprio motivo plastico quando, ad esempio, affronta la “moltitudine” del gregge. Il candore, che uniforma il Bambino e le pecore raccolte intorno al pastore, diventa il simbolo dell’innocenza perduta e il motivo conduttore di una meditata essenzialità rappresentativa.

Il presepe dischiuso di Bruno Conte, 2007, legno

Ogni elemento del presepe si dischiude per consentire l’affaccio di parte dei personaggi che si preparano a ruotare intorno al Redentore, alla magia cristallina di tre pagine di un libro trapassato dalla luce e spalancato a raggiera verso tutti gli orizzonti.

Ogni foglio di questi libri, quasi a voler suggerire la sconosciuta o dimenticata ricchezza dei suoi contenuti, non distende solo sagome di personaggi in tensione, non fa emergere dagli angoli fianchi di figure gelate nell’annuncio dell’evento, non ritaglia unicamente gesti contratti tra le pieghe delle pareti. Come negli internari della fine degli anni settanta, costruiti a forma di libri la cui scrittura era formata da altri libri, Conte in ogni pagina apre finestre dalle quali si affacciano Maria, Giuseppe, il bue e l’asino, l’ala di un angelo o i rami di un albero, la cometa come mano che sorge,

un volto, una nube, le genti, il pastore, il gregge, i Re Magi, il Mistero nube.

Il presepe pastorale di Giuseppe Salvatori, 2016, balsa e tempera vinilica

Salvatori mette in scena il Natale toccando tutti i generi espressivi, rivelando e nascondendo al tempo stesso, ispirandosi a una visione simbolica della vita. Si mette in cammino, con gli occhi e con la mente, girando intorno a se stesso e moltiplicando all’infinito il percorso non solo religioso ma etico e sociale. La drammatizzazione a più temi, a scene contigue, tutte piene e vuoti, inanellate e svelate sul tavolo circolare che ci invita a ruotare, a compiere una sorta di periplo intorno all’antologia di figure senza volto o ombre di se stesse, gli animali – la terza anima del mondo e che hanno, senza peccato, seguito l’uomo nell’esperienza terrena; – gli insetti, gli oggetti, le cose, tutte in nero, verde, azzurro, rosso e marrone (Giuseppe e Maria, il Bambino che gioca col pappagallo, gli angeli che si arruffano fuori dalla capanna, il pastore e la sua pecora abbandonati accanto a una barca che ha perso il suo carico, i pifferai che suonano come se cercassero il cammino, il bue e il tacchino, il gallo, il pavone e farfalle, la pecora, la lucertola e il filo d’erba, la mela, le mani e il confessionale, i coltelli, la spada e la luna, i fiori che sbocciano, le uova e la croce, il pastore che gira le spalle allo stupore…), è propria delle visioni poetiche che non ripudiano la tradizione ma la innovano sommando gli stati d’animo, le schegge d’invisibile, all’invenzione formale, la realtà di ieri a quella di oggi.

Il presepe dono di Giuseppe Pirozzi, 2012, terracotta

Trentasei formelle, tutte di cm 33×33, dispiegate sul tondo simile a una volta celeste rovesciata, con al centro, librate verso l’alto, le braccia aperte del Bambino, il volto estatico della Madonna e quello adorante di Giuseppe, apparecchiano doni, simboli, perle di saggezza, annunci, preghiere, inviti:

Non temete, oggi nella città è nato il Salvatore.

Quattro cartigli come attributo degli evangelisti, tre uccellini, una stella caduta dalla corona della Madonna per indicare la via verso Betlemme, una pagnotta, tre uova, sette libri aperti e chiusi, due melegrane, un melone, una pigna, una verza, vasi, orci, anfore e brocche, cinque pesci, le rovine dei templi smantellati per costruire una nuova Gerusalemme, la navicella con l’incenso, due barrette d’oro, la conchiglia. Pirozzi ha sintetizzato secoli di iconografie e lunghe meditazioni, sottraendosi al brulicante coacervo del Presepe Cuciniello. I dettagli narrativi sono intercambiabili, Gli oggetti si posizionano per sostenere e esaltare la triade che dall’alto socchiude gli occhi sulle nostre angosce quotidiane. Nel silenzio, in un angolo, la colomba becchetta sulla creta la parola Speranza.

Il presepe geometrico di Lucio Del Pezzo, 2013, legno

Del Pezzo prima ha disegnato il presepe, poi lo ha tradotto in ceramica, quindi in legno. Intanto, non ha sostituito Napoli a Betlemme, non ha scavato nei magazzini di via San Gregorio Armeno e neppure si è fatto condizionare dalle icone del nostro secolo, una sorta di fusione dada-pop dove popolare è inteso tutto in senso meridionale, tra manichini grotteschi e tavole del ricordo. Non ha rinunciato al rito dell’analisi e del rigore, perciò ha tracciato linee e costruito forme all’insegna della geometria, prima di fare ha progettato per vedere, trasferendo nel taglio del legno, e nel colore depositatovi, tutto l’esercizio linguistico messo in atto nel corso di mezzo secolo. Soprattutto, non ha perduto il gusto di un costante interrogarsi e interrogare i segni della realtà, i simboli del grande mistero nello spazio fantastico, arcano ed enigmatico del presepe.

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