Oppido Lucano è uno scrigno di preziosi tesori religiosi, archeologici e naturali, venuti alla luce nel corso di interessanti scavi archeologici.

Un paese dalle origini antiche, “raccontate” dai numerosi reperti appartenuti ad una necropoli risalente a VI e IV secolo a. C., rinvenuti sul monte Montrone e custoditi presso il Museo Archeologico Provinciale di Potenza

Nel suo gradevole contesto ambientale, composto da una serie di colline alternate a valli, è custodito uno dei gioielli storico-artistici di Oppido, rappresentato dal meraviglioso ciclo di affreschi rinascimentali, i quali decorano la splendida chiesa rupestre di Sant’Antonio.

Reperti archeologici e avvenimenti storici illustrano l’interessante e antica storia di Oppido Lucano, che già nell’origine della sua denominazione, dal latino “oppidum”, “luogo fortificato”, conserva una certa solennità.

Il suo feudo è appartenuto alla contea di Balvano e in età normanna, cui si fa risalire proprio l’origine del nome, tra il 1041 e il 1085, viene assegnato da Carlo d’Angiò a Pietro Soumerose. Diverse figure si sono alternate nel dominio: da Roberto de Drois a Pietro de Glaix, fino agli Angioini, ai principi Durazzo e, durante il regno di Giovanna II, il feudo è passatolla famiglia Zurlo. Dal 1426 al 1730 Oppido è nel potere della famiglia Orsini, per poi essere detenuto dai De Marinis fino al 1806.

A dominare la scena nel centro storico dalle origini medioevali, ancora oggi evidenti, sono i ruderi del castello, all’epoca denominato anche “Magnum Castrum”.

Antichi portali di palazzi nobiliari, caratteristiche scalinate e luoghi di culto sono gli altri aspetti architettonici che stuzzicano la curiosità del visitatore di Oppido Lucano.

Costruito tra il 1047 e il 1051, della sua originaria struttura il castello conserva il portale d’ingresso sormontato dallo stemma degli Orsini.

Quella che un tempo è stata una strada extra moenia di Oppido Lucano, oggi nota come scalinata “Trecedde”, è la location dell’itinerario “La via dei canti”, fatto di spettacoli itineranti e multimediali, costruito sulle pietre del percorso della transumanza, laddove un tempo si udiva il passo dei contadini e degli animali di ritorno dal lavoro nei campi.

Non lontano, si può ammirare la fontana di Pezzédde, anticamente luogo di incontro delle donne del paese che vi si recavano per fare il bucato, la stanchezza non può prendere il sopravvento prima di aver fatto visita alla splendida chiesa rupestre di Sant’Antonio, custode di preziosi affreschi.

A Oppido, inoltre, ci si può sentire idealmente parte della vita quotidiana e lavorativa del passato all’interno del Museo Etnografico dell’Utensileria contadina e artigiana di un tempo, che si compone di oggetti e attrezzi utilizzati nelle attività della comunità dedita ad agricoltura, pastorizia e artigianato. Suggestiva è anche la fedele riproduzione della casa contadina di un tempo, costituita da una sola stanza in cui si concentravano cucina, camera da letto e, spesso, anche da una stalla.

L’ottimo vino Aglianico del Vulture Doc fa da collante ai sapori e ai profumi della imperdibile cucina di Oppido Lucano, in cui predominano pasta fatta in casa, formaggi, salumi, verdure e dolci tradizionali.

Fiore all’occhiello sono proprio il fragrante e gustoso pane insieme alla pasta dalle più svariate forme: maccheroni a uno, a due o a otto dita, in questo caso da queste parti denominata “a fascenedde”, poi le orecchiette, gli stivaletti, le lagane e i vermicelli.

A nobilitare queste tipicità sono i condimenti a scelta in base alle forme, dal sugo alle verdure ai legumi. Molto buoni anche i secondi piatti per lo più di carne: capretto o agnello alla brace, il “cutturiedd”, che deriva dall’antica tradizionale pastorale. Squisiti anche i formaggi e salumi: pecorini, provoloni, caciocavalli, trecce, scamorze, ricotte, manteche da accostare a salsiccia, soppressata e capocollo di maiale.

Prima di alzarsi da tavola si consiglia di provare almeno uno dei dolci tradizionali, come il calzone di ricotta e cannella o i mostaccioli, i biscotti alle mandorle o vin cotto e le pettole.

Il paesaggio che circonda Oppido Lucano è circondato da verdi colline ricoperte di uliveti e fiorenti colture di vite, mandorli e leccio, ma è impreziosito anche da ampie distese di campagna che si diversificano e si differenziano in piccoli poderi.

D’altronde Oppido Lucano è uno degli otto piccoli comuni che ricadono nella affascinante valle dell’Alto Bradano.

Percorrendone ogni tratto si resta totalmente conquistati dallo spettacolo ambientale che va in scena fino al fiume Bradano, fatto di morbide colline incorniciate dalla catena montuosa dell’Appennino lucano.

Questo spettacolo lo scrittore lucano Raffaele Nigro lo ha descritto così: “L’Alto Bradano” potrebbe rendere meglio l’idea di questo angolo di Basilicata: “…Salendo dalle pianure della Puglia, dopo il vestito erboso delle colline dolci del sud si sprigiona un paesaggio arcaico, meno popoloso, una fioritura di colli e cocuzzoli ai quali si aggrappano le strade, le masserie spesso in abbandono e i paesi. Paesi di calce e di pietra che fuggono verso valle in cerca di periferie agevoli ma che restano nonostante gli sforzi della modernità abbarbicati nei nuclei medievali alle parti alte dei monti…”.

Il glorioso passato di Oppido Lucano è riemerso grazie agli scavi archeologici condotti sul territorio nel corso degli anni, i quali hanno riportato alla luce tracce di vite e mondi ancora oggi vivi nel ricordo e nella storia del paese.

All’interno di un’antica tomba, sul monte Montrone, è stata trovata (1790) la Tabula Bantina, il più importante reperto in lingua osca, ma con caratteri latini, propria di una popolazione indo-europea dell’Italia antica vissuta in Campania e in parte della Basilicata intorno all’VIII secolo a.C.

Si tratta di una lastra in bronzo divisa in tre pezzi e in alcuni frammenti, databile tra il 150 a.C. e il 100 a.C., con incisioni grafiche su ambedue le facciate. Su una parte di essa è visibile lo statuto bantino, una legge municipale dell’antica città di Bantia (l’attuale Banzi). Alcuni di questi straordinari frammenti sono conservati tra i Musei Archeologici Nazionali di Napoli e Venosa.

Due Ville romane arricchiscono il patrimonio archeologico del piccolo paese del Vulture Alto Bradano, quella di San Gilio (I secolo A.C. – VII secolo D.C.), nel 2010 segnalata dal World Monuments Fund, (World Monuments Fund) e quella di Masseria Ciccotti (I secolo A.C. – III secolo D.C.), di particolare pregio per la presenza del complesso musivo, con raffigurazioni del Tempo Assoluto e delle Stagioni.