Ruoti
Ruoti è un piccolo comune dal forte valore naturalistico immerso tra vigneti e boschi di ampia estensione con splendidi esemplari di abete bianco e sorgenti naturali.
Roccaforte longobarda e dalle origini remote, il paese situato su di un’altura che domina il corso della fiumara di Avigliano, è caratterizzato da un accogliente centro storico che lungo le sue vie vede affacciarsi pregevoli portali di antichi palazzi.
Le origini di Ruoti sono piuttosto remote e con molta probabilità risalgono al VI sec. a.C.
Sorto come rocco fortificata dai Romani, ruoti viene in seguito rifondato e nuovamente fortificato dai Lombardi. L’importanza storica del feudo di Ruoti è attestata a partire dalla metà del XII secolo, ed è appartenuto a vari signori.
Nel periodo angioino è stato dominato dai Sanseverino e dai Ferillo di Muro, mentre nel 1583 è la volta dei Caracciolo, quindi dei Capece Minulto e dei Ruffo di Bagnara.
Il centro storico di Ruoti colpisce per i pregevoli portali degli antichi palazzi che lo delimitano, tra i quali si distingue anche l’architettura della bella chiesa madre dedicata a San Nicola.
Non molto distante dal paese sono visibili i resti della villa rustica romana di San Giovanni, nell’omonima località, e un bellissimo mosaico del bassi impero.
Nel centro abitato si può ammirare ciò che resta delle mura preromane costituite da pietre calcaree di forma omogenea, mentre nella località Fontana Bona, nelle vicinanze della fontana che dà nome al luogo, è stata rinvenuta una stipe appartenuta ad un santuario che dovrebbe essere databile tra IV e III secolo a.C.
Gustosi formaggi freschi o stagionati deliziano il palato dei visitatori di Ruoti che nella cucina tipica prevede portate a base di basta fatta in casa.
Davvero stuzzicanti sono gli strascinati conditi con la menta o i cavatelli lunghi con le cime di zucca. Le distese di cereali, per lo più frumento, foraggi, ortaggi, oliveti e frutteti rende varia e appetitosa ogni portata, inoltre, la presenza di ampi vigneti consente di ricavare il vino Asprino, tipico di queste parti.
Dall’altura su cui sorge, Ruoti domina il corso della fiumara di Avigliano.
Il territorio su cui il borgo insiste ospita, nelle immediate vicinanze del paese, l’area verde nota come Abetina di Ruoti, segnalata dalla Società Botanica Italiana per la presenza dell’abete bianco ormai considerato specie rara, da cui il bosco prende il nome.
Di straordinario interesse artistico, a Ruoti, è la chiesa madre di San Nicola di Bari con impianto romanico e interno barocco.
Al suo interno il tempio conserva pregevoli tele, tra le quali degna di nota è senz’altro una Madonna delle Grazie di Giovanni De Gregorio, detto “Il Pietrafesa”, artista seicentesco di origine lucana.
La cupola e le mura perimetrali della struttura, terminati nel 1805, sono attribuite ad un discepolo del Vanvitelli. All’entrata del paese si può visitare la cappella del Calvario, che sorge su uno spuntone tufaceo tanto simili al monte Calvario, da cui il nome.
Molto importante per la comunità locale è la seicentesca chiesa di San Rocco, Patrono di Ruoti, cui il 16 agosto sono dedicate solenni celebrazioni. Caratteristica è poi la chiesa di San Vito Martire, in cui si può ammirare un altare di pietra locale mentre sulla volta spicca subito un dipinto raffigurante San Rocco.
Interessante è anche la chiesa della Madonna del Rosario con un portale in pietra locale databile tra XV e XVI secolo.
Pignola
Pignola è il paese dei “cento portali” che numerosi decorano il suo prezioso centro storico, tipico della montagna lucana.
A pochissimi chilometri da Potenza, Capoluogo di Regione, Pignola ricade nel Parco Nazionale dell’Appennino Lucano Val D’Agri Lagonegrese, adagiato su un’altura che supera i 900 metri e circondato da incantevoli valli.
Il suo borgo antico è un gioiello architettonico in cui le abitazioni si sviluppano fino al punto più alto uniti tra loro da ripidi vicoletti e scalinate appese.
Pignola fa da anello di congiunzione tra luoghi dalla spiccata significatività ambientale, come la Riserva Naturale regionale del Pantano di Pignola, un’area protetta che dal grande valore ambientale e paesaggistico, come i boschi di Rifreddo o quelli che salgono verso il passo della Sellata Pierfaone, in estate meta di escursionisti, in inverno location ideale per sciare.
Certamente il territorio di Pignola è stato frequentato sin dall’epoca antica, ma le prime notizie sulla sua esistenza risalgono al XII secolo.
Un ruolo importante Pignola lo assolve in epoca sveva quando, intorno al 1240, l’imperatore Federico II chiama chiede alla popolazione di contribuire alle spese di riparazione del castello di Lagopesole.
Dopo la morte dello Stupor Mundi, Pignola, all’epoca “Vineola”, passa di feudatario in feudatario. Nel XV secolo è proprio la regina Giovanna ad assegnare Pignola alla casa Santa Ave Gratia Piena di Napoli da lei stessa fondata. Con il prevalere degli aragonesi, e dopo la morte della regina, Pignola come Potenza, il Capoluogo di Regione, passa sotto i conti Guevara.
Tra metà XVI e inizio XVII secolo, mentre vengono fondati il convento di San Michele, lontano dal centro abitato, e il convento del Santissimo Salvatore, nelle immediate vicinanze del paese, a Pignola arrivano numerose famiglie di profughi albanesi cercando rifugio dall’invasione turca nelle loro terre.
Il paese non resta estraneo agli episodi di brigantaggio (1800-1809) che vedono la formazione di bande organizzate e che proseguono dopo l’unificazione del Regno d’Italia.
Pignola è il paese dei “cento portali”, anzi in realtà se ne contano circa 200, in pietra scolpita, lungo il bel centro storico della città impreziosito anche da artistici mascheroni.
Ogni portale presenta forme e caratteristiche differenti tra loro, aspetto che li rende ancora più attraenti, e realizzati dalle mani sapienti di scalpellini che hanno frequentato la scuola locale della lavorazione della pietra.
Il borgo antico è un vero gioiello architettonico in cui le abitazioni si sviluppano fino al punto più alto e panoramico, dove svetta la chiesa madre dedicata a Santa Maria Maggiore, e sono uniti tra loro da ripidi vicoletti e scalinate appese.
Tra queste ultime, caratteristica è la “Piscinia” che si inerpica con il suo andamento semicircolare fra i bei palazzi d’epoca sei-settecentesca – a loro volta ornati dai già noti portali – alcuni dei quali quasi circondano la piazza Vittorio Emanuele, che per la sua forma irregolare è molto simile ad una conchiglia.
Proprio nel cuore del paese è possibile visitare il Museo scenografico del costume e della civiltà rurale di Pignola in cui si è colti dalla forte suggestione evocativa di simboli dell’universo contadino resa dalla mostra permanente di costumi popolari e tradizionali femminili.
I piatti della tradizione contadina, con predominanza di pasta fatta in casa e legumi, danno valore alla cucina pignolese.
E sono proprio i legumi ad impreziosire le portate, in particolare il “Fagiolo rosso scritto di Pantano di Pignola”, elemento indispensabile nella preparazione della cuccia, minestra di legumi, o con la pasta fatta a mano, soprattutto con i cavatelli, ma anche per la valorizzazione di piatti rinomati della cucina lucana.
Questo tipico fagiolo rosso si distingue e ha conquistato una sempre maggiore fama soprattutto per i particolari metodi di lavorazione, conservazione e stagionatura, che contribuiscono a renderlo apprezzabile a partire dal suo aspetto: tondo ovoidale, con fondo beige e screziature rosso scure, da cui deriva il singolare nome.
Pignola è un paese di montagna totalmente immerso nel Parco Nazionale dell’Appennino Lucano Val D’Agri Lagonegrese, noto per le sue spiccate bellezze naturalistiche e un insieme di spazi verdi affascinanti.
Il parco è caratterizzato anche da un’eccezionale biodiversità animale, con spazi acquatici popolati da diversi anfibi, e vegetale tra alberi, fiori e varie specie naturali, al punto che chiunque raggiunga l’area verde resta folgorato dagli incantevoli scenari ambientali che la caratterizzano.
Nel cuore del Parco dell’Appennino lucano, a pochi chilometri da Potenza, e in territorio di Pignola, si sviluppa la località turistica di Sellata – Arioso che, totalmente imbiancata, nella stagione invernale offre straordinari scenari e occasioni di divertimento agli amanti degli sport sulla neve grazie alla presenza di attrezzati impianti sciistici, garantendo appassionanti escursioni in estate.
Da non perdere poi, in località Pantano di Pignola, a brevissima distanza da Potenza, la Riserva Naturale Regionale e Oasi WWF Lago Pantano, un altro gioiello ambientale che comprende percorsi natura attrezzati, una ricca vegetazione tra prati e aree coltivate che circondano il lago, e numerose specie di uccelli che lo sorvolano rendendolo meta ideale per gli amanti del birdwatching.
In uno dei più bei punti panoramici di Pignola svetta la chiesa madre di Santa Maria Maggiore, che non è l’unico tesoro sacro meritevole di essere ammirato.
Risalente al XIII secolo, ma ricostruita nel XVIII, all’esterno è arricchita dal quattrocentesco campanile, mentre al suo interno custodisce preziose opere d’arte, molte delle quali sono tele firmate da Giovanni De Gregorio, detto “Il Pietrafesa”, pittore nato a Satriano di Lucania e morto proprio a Pignola nel 1653, il cui corpo, secondo la tradizione, sarebbe sepolto nel pilastro a sinistra del presbiterio della chiesa madre.
Da vedere è anche la chiesa di Sant’Antonio Abate per il suo splendido portale settecentesco e per la Porta del Giubileo (1999) opera bronzea di Antonio Masini, uno dei più apprezzati artisti lucani contemporanei. Annesso a questo tempio è il binomio sacro-profano che predomina nel Palio di Sant’Antonio Abate, in occasione del quale tra gli scoscesi vicoli del paese, il 16 gennaio, va in scena un’avvincente corsa di muli e cavalli.
Bella anche la chiesa di San Rocco, o dell’Assunta, in passato parte di un convento rinascimentale non più esistente. A due navate, vi si accede attraverso un portale seicentesco, che a sua volta incornicia un’altra porta bronzea realizzata in onore di Papa Giovanni Paolo II, dopo la sua morte, da Marco Santoro, scultore lucano.
Un po’ fuori dal paese, in località Pantano, magari dopo una passeggiata attorno al meraviglioso lago, si può far visita al santuario della Madonna degli Angeli, Patrona del paese, in cui è conservata la statua in oro zecchino raffigurante la Vergine. In suo onore si svolge ogni anno una intensa festa religiosa con tratti folcloristici.
Paradiso per gli amanti dello sport e della natura, il territorio di Pignola offre una moltitudine di alternative e luoghi.
Non lontano dal paese, nel cuore del Parco nazionale dell’Appennino Lucano – Val d’Agri – Lagonegrese, si staglia il comprensorio sciistico Pierfaone – Sellata – Arioso che si sviluppa in uno splendido paesaggio attraversato da boschi di faggi secolari, a pochi chilometri dalla città di Potenza.
Il comprensorio mette a disposizione degli sciatori una seggiovia biposto che conduce proprio in vetta al Monte Pierfaone (1737 m), consentendo così di accedere a due piste di differente livello di difficoltà, una rossa, più semplice, e una nera, denominata “Pietra del Tasso”, che offre 6 impianti di risalita e 10 piste, per un totale di circa 8 chilometri che spaziano dai 1350 metri della Sellata fino ai 1740 m del Monte Pierfaone e ai 1710 m del Monte Arioso.
Da qui lo sciatore può soddisfare il suo desiderio di lanciarsi e vivere al meglio l’emozione che questo sport regala, ma anche sentirsi parte di una dimensione ambientale di straordinario impatto in cui oltre allo sci alpino e allo sci di fondo, è consentito praticare anche nordic walking, passeggiate con le ciaspole, e utilizzare aree libere dove è garantito il divertimento con slittini e bob.
Nello straordinario scenario del Parco Nazionale dell’Appennino Lucano, in cui Pignola ricade, si possono praticare escursioni di ogni genere e livello, percorrendo sentieri che attraversano paesaggi incantevoli.
Nel perimetro del parco sono allestiti comodi spazi pic nic per momenti di ristoro e relax, ma il riposo all’aria aperta è garantito anche sulle distese di verde che circondano l’area per godere della magica atmosfera che circonda l’intero spazio. Nel territorio circostante sono consentite anche piacevoli passeggiate a cavallo, trekking, cicloturismo mountain bike.
I sentieri aperti nei borghi circostanti ben si prestano per gli amanti di mountain bike alla ricerca di percorsi avventurosi e unici.
In particolare, nei boschi del monte Pierfaone, tra cinque piste in discesa con differenti livelli di difficoltà e impianti di risalita per le esigenze di tutti i bikers, trovano la giusta dimensione gli amanti di esperienze avventurose da vivere lungo percorsi che si snodano tra paraboliche, salti e passerelle.
Ma il territorio di Pignola è dotato anche di una ricchezza ambientale come la splendida Riserva naturale regionale e Oasi WWF Lago Pantano, nell’omonima località. Non lontano da Potenza, l’area protetta è molto frequentata in ogni momento dell’anno per gli amanti del jogging o di semplici passeggiate.
Dotata di percorsi natura attrezzati con pontili e capanni di avvistamento, è anche location ideale per gli amanti del birdwatching, oltre a offrire percorsi mountain bike e un campo di tiro con l’arco. Nei dintorni sono inoltre disponibili maneggi, piste per il karting e il volo a bordo di velivoli ultraleggeri a disposizione dei visitatori, spesso consistenti in scolaresche, c’è anche un orto didattico e un’area gioco per i bimbi. La riserva è sede anche di un Centro di Educazione ambientale e di un Centro recupero animali selvatici.
Pietragalla
Pietragalla è il paese dei fantastici “Palmenti”, in dialetto locale definite “rutte”, cantine-grotta scavate nella roccia utilizzate ancora oggi per la conservazione del vino.
Questi caratteristici antri sono raggiungibili percorrendo le strade e i vicoli del borgo medioevale, i quali si arrampicano fino al punto più alto del paese dominato dall’imponente campanile della chiesa madre dedicata a San Nicola di Bari e dal castello, l’attuale Palazzo Ducale.
Nei pressi del paese, sul monte Torretta, è visitabile anche un insediamento precedente all’XI secolo a.C. e abitato fino al III secolo a.C.
Il nome del paese deriverebbe da “Pietra Gialla”, in riferimento al colore del materiale impiegato per la costruzione delle case, il tufo.
Per la prima vota Pietragalla viene citato in un documento dell’anno 1118 e secondo alcune fonti, essendo il nome del paese di origini medioevali, la fondazione del paese coinciderebbe con il X secolo.
Il comune subisce l’influsso della presenza francese, periodo a cui risale la costruzione dell’attuale strada Breccia, influenza che, tra l’altro, si riscontra anche nell’uso dell’attuale dialetto, nelle tradizioni e nei costumi.
Fino al 1381 il feudo di Pietragalla appartiene ai conti di Morconi, quindi a Lorenzo Anzaloris. Nel XV secolo il feudo di Pietragalla passa poi ai Conti di Pacentro e con la famiglia Orsini inizia il programma di ampliamento del Palazzo Ducale.
Il Brigantaggio, e i gruppi di uomini capitanati da Carmine Crocco e da José Borjès raggiungono anche Pietragalla, la cui è stata definita a più riprese eroica.
Vicoletti e archi che si inerpicano fino al punto più alto del borgo medioevale consentono di scoprirne gli angoli più caratteristici e dal valore storico artistico.
Oltre alla bella chiesa madre dedicata a San Nicola di Bari, in questo punto del centro storico si può ammirare anche il castello, oggi Palazzo Ducale, imponente per dimensioni e complessità architettonica.
Il suo impianto si divide in due parti: la prima parte, che conserva i caratteri dell’antico castello, edificato intorno al 1100 e la seconda, che invece rimanda all’ampliamento del complesso avvenuto ad opera di architetti napoletani, nella seconda metà del ‘400.
Il visitatore resta senz’altro affascinato dalle ampie loggiate che impreziosiscono la struttura, mentre all’interno sono custodite tele settecentesche e pregevoli dipinti.
Per chi è amante della cucina dal sapore deciso e autentico, a Pietragalla può deliziare il palato con quello che da queste parti è definito “migliatieddo”.
Si tratta di un involtino, composto dalle frattaglie di agnello cucinato e condito secondo ricette tradizionali, che conferiscono a questo piatto un gusto inimitabile.
Sfizioso e ottimo è poi il calzone ripieno di cipolla, un must nella gastronomia pietragallese. Molto diffusa è poi la preparazione di pasta condita con la mollica del pane, in dialetto nota come “maccaron c’ la mddea”.
Il circondario di Pietragalla è ricco di boschi e scorci che restituiscono un panorama certamente tra i più suggestivi della Basilicata.
Ma la vera attrazione naturalistica accoglie il visitatore proprio all’ingresso del paese, sono i “Palmenti”, un borgo vinicolo formato da costruzioni di architettura rupestre e costruito dai francesi della Provenza, sullo schema di quelli presenti anche nel loro territorio. Il nome infatti dovrebbe avere proprio origine francese da “Balmetti”, dal ligure “Balma”, “incavatura”
Queste cantine grotta presentano un’architettura unica e originale che conferisce all’interno contesto in cui sorgono scenari e atmosfere fiabesche per la disposizione armoniosa tale da fornire un colpo d’occhio in chi le osserva.
Al loro interno sono dotate di vasche ricavate nella roccia tufacea, per la lavorazione e la fermentazione dell’uva (palmenti). Chi volesse osservarle nella loro complessità può raggiungere Via Mancosa, lungo la quale si concentra il maggior numero di “rutte”, altra denominazione di queste cavità sotterranee.
Sul punto più alto del centro antico di Pietragalla, insieme al castello, sorge la chiesa Madre dedicata a San Nicola di Bari costruita nel 1200 e consacrata nel 1654.
L’attuale stile neoclassico deriva dalle modifiche apportate tra il 1712 e il 1750. Ad esaltarne la fattura concorre il campanile sormontato da una cupola che ricorda quelle bizantine.
A tre navate, in corrispondenza di quella centrale, l’abside ospita l’altare maggiore. Visitando la chiesa non passano inosservati il fonte battesimale in pietra lavorata a motivi geometrici, il settecentesco crocifisso ligneo, dipinti su tela e una tavola ad olio, raffigurante l’Annunciazione dell’Angelo alla Madonna.
Di particolare valore è poi la statua raffigurante San Teodosio, Patrono di Pietragalla.
La presenza di numerose aree verdi ispira nel visitatore comode passeggiate nei boschi ed escursioni nelle vicine vallate, la condizione ideale, insomma, per chi ricerca una meta tranquilla immersa nella natura.
Di particolare impatto è il Bosco Grande di Pietragalla la cui folta vegetazione consiste soprattutto in cerro, roverella e farnetto.
Passeggiando nell’esteso spazio ambientale che caratterizza il territorio di Pietragalla ci si può spingere fino alla località Monte Torretta, nei pressi della frazione San Giorgio, a pochi chilometri dal paese.
Qui sono visibili i resti di un insediamento fortificato, databile attorno alla metà del IV secolo a.C., la cui disposizione vede, sulla parte più alta della collina, l’acropoli, mentre sulla terrazza sottostante individua l’abitato, entrambi difesi da possenti mura costruite con blocchi di arenaria squadrati.
All’interno dell’intero insediamento sono stati portati alla luce resti di un tempio italico e, nelle immediate vicinanze, due statuette (V e IV sec. a.C.) e una cospicua quantità di materiale architettonico, come un acroterio con testa di Gorgone del V secolo a. C. conservato nel Museo Archeologico Provinciale di Potenza.
Picerno
Picerno è il paese delle tradizioni e dei sapori mai tramontati e che tornano inesorabili nella quotidianità nutrendosi del presente.
Posto alle pendici del Monte Li Foj, meta ideale per gli appassionati di escursionismo, Picerno si presenta come un centro di montagna dalle antiche origini, ma anche come un suggestivo contesto che offre verdi paesaggi dal fascino indiscutibile, con pendii ricchi di pascoli, e poi vigneti e oliveti, e rilievi ricoperti da folti boschi.
Raggiunto il centro del borgo se ne può ammirare il fascino reso dall’insieme di vicoletti e gradinate tra i quali spuntano palazzi storici impreziositi da bei portali, chiese, e antiche torri.
Picerno sorge su un colle panoramico vicino a Potenza. Secondo la tradizione la sua fondazione risale al II secolo a. C. sulle rovine dell’antica Acerrona.
Il centro acquista particolare importanza nell’età normanna-sveva, ma occorre ricordare che il rinvenimento di tombe e vari reperti lasciano ipotizzare l’esistenza, all’interno del sito su cui sorge il borgo medioevale, di insediamenti indigeni collocabili nell’epoca tardo imperiale.
Picerno è stato feudo dei d’Angiò e, successivamente, agli inizi del ‘300, dei Sanseverino, per poi passare ai Caracciolo, quindi agli Spinelli, ai Muscettola e, infine ai Pignatelli, fino alla soppressione della feudalità.
L’antico centro di Picerno regala un’atmosfera intima al suo visitatore, non solo per la sua posizione panoramica, su un colle, ma anche perché insinuandosi tra le vie più nascoste se ne scoprono peculiarità davvero affascinanti.
Come le due torri, l’una posta ad ovest di Piazza Statuto, che domina, con la sua armoniosa e imponente mole cilindrica, su tutto il tessuto urbano circostante, e l’altra, più piccola, nella zona sud del paese nota come “Toppo San Leonardo”. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che le due architetture fossero in realtà unite da una cinta muraria a difesa del castello normanno-svevo.
Di particolare fascino sono poi i numerosi palazzi storici, databili tra ‘600 e ‘800, impreziositi da bei portali in pietra, come seicenteschi Palazzo Caivano e Palazzo Scarilli, o il settecentesco Palazzo Capece dotato di un ampio giardino.
Interessante, anche per l’elegante portale, si presenta poi Palazzo Tarulli, né inferiori quanto a bellezza sono gli ottocenteschi palazzi Figliola e Caivano, anch’essi adornati da notevoli portali.
Non si può non ricordare un aspetto legato al contesto culturale del comune di Picerno, o meglio alla sua sonorità dialettale che il filologo Gerhard Rohlfs ha incluso nel cosiddetto “dialetto galloitalico”, diffuso nell’Italia settentrionale e caratteristico di alcuni comuni della provincia di Potenza, tra cui, appunto, Picerno.
A Picerno, come in altri comuni della Basilicata, da tempo resiste la tradizione dell’uccisione del maiale, non sono un’occasione per la preparazione della prelibata “Lucanica”, l’ottima salsiccia stagionata dalla caratteristica forma ad “U”, ma anche momento di condivisione.
“Fare il salame”, da queste parti, significa ritrovarsi in famiglia o tra amici in un clima di festa e di folklore, in un’atmosfera di intima convivialità.
I salumi, in generale, sono i prodotti tipici più apprezzati, non è un caso che ai derivati del suino sia dedicato il notissimo evento enogastronomico, dalle chiare sfumature culturali intitolato “Porklandia”, ma non meno apprezzati sono anche gli ottimi formaggi freschi o stagionati prodotti in zona.
Picerno sorge nel cuore del Melandro, alle pendici del Monte Li Foj, che con le sue vette domina un’ampia vallata del territorio del Melandro e della valle del Basento.
Circa 900 ettari di bosco, per lo più di faggi altissimi e aree picnic ben attrezzate, caratterizzano questo verde e tranquillo angolo di Basilicata attraversata da una infinità di stradine e sentieri lungo i quali non è raro incontrare animali al pascolo, per lo più bovini di razza podolica.
Prestando attenzione alle indicazioni, da qui si può raggiungere il Piano della Nevena, una zona in cui si respira un’aria purissima e dove, durante la stagione invernale, magari circondati da un morbido manto nevoso, è facile assistere ad un singolare fenomeno che consiste nella formazione di due laghetti di acqua piovana che, poi, in estate si svuotano per lasciare il poste a conche naturali che infondono serenità solo a guardarle. Uno di essi è noto come Lago Romito.
Picerno è la location ideale per gli amanti dell’arte e delle architetture sacre, per la presenza di numerose chiese di notevole fascino.
Sul punto più alto del paese, attraverso una scalinata in pietra grigia lavica si accede alla duecentesca chiesa madre di San Nicola, costruita sui bastioni dell’antico castello, ampliata nel 1611 e rifatta nel 1728. Molto belli la facciata in stile barocco e l’imponente campanile a tronco di piramide, oltre al monumentale portale principale in pietra.
All’interno, a tre navate, dietro l’altare maggiore in legno intagliato, dorato e dipinto si può ammirare un coro ligneo (1756). Interessante è poi nella sacrestia la Natività dipinta a olio di Giovanni De Gregorio, detto “Il Pietrafesa”.
Da non perdere è la cripta dell’antica chiesa con affreschi risalenti all’originaria costruzione.
Merita di essere visitata anche la chiesetta dell’Assunta (1462) con decorazioni e stucchi del 1700, nella quale è custodita una tela di Antonio Stabile raffigurante la Madonna col Bambino (1577).
Si può visitare anche la chiesa di San Rocco che che custodisce una raffinata statua del Santo di fine Seicento. Non lascia indifferenti inoltre il trecentesco portale a sesto a cuto in pietra scolpita della chiesa dell’Annunziata cui è annessa la cripta in cui sono custoditi due cicli di affreschi.
Nel refettorio del Convento dei Cappuccini (XV sec.) si possono ammirare i resti di un dipinto a tempera dell’Ottocento.
Il Monte Li Foj è la meta ideale per escursionisti esperti, mountain bikers a livelli avanzati, ma anche per quanti desiderino esplorare l’area incontaminata a piedi o in bicicletta, da soli o in gruppo, anche se si tratta di famiglie con bambini.
Vi si può arrivare percorrendo un reticolo di sentieri boscati che consentono di strutturare diversi percorsi a seconda dell’esperienza degli escursionisti, trovandosi così dinnanzi a salite più ripide e dure, altre più brevi e scorrevoli, ma anche agevoli discese. Una volta raggiunta la sommità si può ammirare una paesaggio mozzafiato che affaccia sul capoluogo.
Pescopagano
Totalmente immerso nel verde, Pescopagano sorge a picco su una rupe che domina tutta la valle dell’Ofanto, all’ombra dei resti del castello del XV secolo da cui è possibile riempire lo sguardo di uno straordinario panorama.
Un tour nel borgo è certamente l’occasione per conoscere un altro bel comune lucano della provincia di Potenza, ammirarne gli antichi edifici gentilizi del centro storico, scoprirne gli usi e le manifestazioni principali, come il tradizionale Volo dell’Angelo, uno spettacolo tra folclore e fede in occasione dei festeggiamenti in onore di San Francesco Di Paola, Patrono di Pescopagano.
Teatro delle guerre sannitiche e delle spedizioni di Pirro, Pescopagano subisce l’occupazione dei Goti e dei Longobardi, mentre tra il IX e X secolo viene attaccato più volte dai Saraceni, cui si deve la costruzione di un fortilizio.
Per difendersi da questi ultimi, gli abitanti del posto si rifugiano sul punto più alto del paese denominandolo “Castrum Petrae Paganae”, “villaggio sulla rocca fortificata”.
Il paese appartiene a diverse figure di spicco, nel 1278 Carlo I d’Angiò lo dà a Raynaldo de Panzellis Gallico, nel 1331 passa a Filippo Stendardo, successivamente appartiene alla regina Sancha d’Aragona, che a sua volta lo vende a Mattia Gesualdo. Fino alla fine della feudalità Pescopagano appartiene ai marchesi d’Andrea.
A Pescopagano si conclude l’avventura iniziata nel novembre 1861 da parte de brigante lucano Carmine Crocco e dei suoi uomini, e da José Borjès per la conquista di Potenza
Nel 1945 il paese subisce anche l’attacco delle truppe naziste.
Palazzi gentilizi costruiti tra Settecento e Ottocento in stile neoclassico e portali in pietra dalle eleganti decorazioni si incrociano passeggiando nel centro storico di Pescopagano.
Molte di queste architetture sono state realizzate in seguito al terribile terremoto del 1694 che rase al suolo gran parte dell’abitato. Tra i più interessanti si rivela Palazzo Pascale, costruito su un precedente complesso medioevale.
Degno di nota per l’architettura che lo contraddistingue è il complesso dei due palazzi Laviano, in Via Nazionale, uno dei quali è stato disegnato dal Piacentini. Per la sua severa struttura neoclassica si impone allo sguardo del visitatore anche Palazzo Scioscia e interessante costruzione è anche quella del Palazzo del Municipio.
Nei pressi di Palazzo Scioscia, in Piazza della Sibilla, si può ammirare anche la Torre dell’Orologio la quale, costruita sull’antica Porta Sibilla, presenta in una nicchia il busto in pietra di Giano bifronte, antica divinità mitologica.
Poco o nulla resta del castello, in verità una roccaforte che oggi si presenta come un mucchio di macigni raggiungibili tramite un percorso risistemato da cui si può ammirare un panorama mozzafiato.
Da non perdere è il museo di arte sacra parrocchiale il cui allestimento consente di apprezzare sculture in legno e marmo, dipinti, paramenti sacri e un settore miscellaneo che raccoglie la memoria della comunità cristiana.
Produzione di cereali, uva da vino, formaggi, soprattutto ovini e caprini, contraddistinguono i sapori che si possono apprezzare a Pescopagano.
Molto diffusi sono anche funghi, tartufi e pasta fatta in casa che tra le tipologie più richieste propone strascinati, fusilli, lagane, cavatelli e orecchiette.
Di particolare interesse è la prima sagra di carne e formaggi di razza bovina podolica a Km 0 che si tiene proprio a Pescopagano che propone prodotti ricavati dalla rinomata razza bovina.
Il panorama che avvolge Pescopagano è suggestivo da qualunque punto lo si ammiri anche per l’originale conformazione: il verde più lussureggiante è bruscamente interrotto da costoni di roccia e da rilievi brulli sui quali spuntano odorose e profumate ginestre.
Di particolare impatto è il solo bosco Le Rose che si estende su una superficie di 610 ettari, location ideale per intraprendere passeggiate naturalistiche all’insegna del relax, della continua scoperta, del benessere.
La cospicua presenza di luoghi di culto a Pescopagano fa sì che quanti intendano coniugare l’arte alla spiritualità possano soddisfare tale esigenza girovagando tra le chiese che costituiscono il patrimonio sacro del borgo.
Tra i più antichi tempi di Pescopagano, nel Rione di Basso la Terra, si trova la chiesa di San Leonardo, la quale è accessibile al visitatore solo in occasione di festività come quella in onore dell’Immacolata Concezione.
Di particolare interesse è poi il santuario di Montemauro, a circa 1000 metri, sulla cima dell’omonimo monte, in un contesto dominato dal contrasto tra dolce vegetazione e brulle rocce, a circa 5 chilometri dal centro abitato. Tutte le domeniche di maggio e sino al 15 agosto, i fedeli raggiungono il Santuario a piedi per onorare la vergine.
Molto antica, la chiesa madre Santa Maria Assunta di cui si possono ammirare i ruderi sui quali sono state individuate una serie di iscrizioni, come quella bizantina risalente al VII secolo riemersa di recente e che ricorda l’alternarsi, nei territori lucani e pugliesi, delle dominazioni bizantine e longobarde, oltre ad un’altra che fa riferimento ad una cerimonia di consacrazione risalente al 1727.
Antichissima è poi la chiesa di San Giovanni Battista, la cui iscrizione sul frontone indica la sua edificazione intorno all’anno mille (970). Ad aula rettangolare, all’interno presenta un impianto settecentesco con abside e numerose belle tele dipinte ad olio di scuola napoletana, tra cui l’Adorazione dei Magi e i pannelli della Via Crucis, molte di esse provengono dalle chiese distrutte di Pescopagano.
Nell’anno Mille i Normanni fondano l’Abbazia di San Lorenzo in Tufara, a poca distanza dall’abitato, della quale oggi restano solo alcune suggestive rovine.
Muro Lucano
Muro Lucano è noto come “borgo presepe” per la struttura urbanistica costruita su uno sperone di roccia calcarea cui appaiono come aggrappate l’una dietro l’altra le caratteristiche abitazioni in una suggestiva suggestione scenografica.
A fare da sfondo è lo scenario naturalistico della valle del Marmo Platano in cui il paese ricade, nella provincia di Potenza. Nel suo centro antico si riflettono le varie fasi storiche che lo hanno attraversato, dal quartiere Pianello – il più antico e abbellito da una originale illuminazione, in cui sopravvive l’influenza romana – al punto più alto – dove forte è l’impronta medievale testimoniata dal monumentale castello che, illuminato, di sera, insieme all’ex Palazzo vescovile offre uno spettacolo imperdibile – per arrivare alla zona caratterizzata da edifici di epoca rinascimentale.
Palazzi gentilizi, piccole piazze e vicoli scoscesi costituiscono il patrimonio architettonico di Muro Lucano impreziosito da portali e archi di notevole interesse artistico.
Storia e religione si intrecciano in questo paese che ha dato i natali a San Gerardo Maiella (Muro Lucano 1726 – Materdomini 1755), Patrono della Basilicata, e dove ha trovato la morte, all’interno del castello, la Regina Giovanna I di Napoli.
Si racconta che nel territorio di Muro Lucano sia stata combattuta la leggendaria battaglia tra Annibale e Marcello, nel 210 a.C., proprio lì dove sono stati rinvenuti i resti di mura megalitiche e i ruderi di un monastero basiliano.
Il primo centro abitato pare si trovasse presso la Raia San Basile, a pochi chilometri dal paese odierno, un antico municipio romano, noto come Numistro.
Muro Lucano ha subito diverse dominazioni: dai longobardi passa ai normanni, sotto i quali (1050) viene eretto a sede di diocesi e proprio con questa fase coincide l’edificazione del santuario diocesano di Santa Maria delle Grazie e della cattedrale di San Nicola.
Durante la presenza angioina in paese assume particolare rilievo il castello scelto dalla regina Giovanna I come residenza estiva per poi trovarvi la morte nel 1382. A lei ogni anno è dedicata una consolidata rievocazione storica.
Sarà poi la volta degli aragonesi e di diverse famiglie che eserciteranno un’influenza significativa sulla vita e sulla organizzazione del paese e della popolazione.
Muro Lucano è il paese natale di San Gerardo Maiella, Patrono della Basilicata, ma è anche uno dei borghi più belli della regione, in cui dall’alto dell’abitato si può ammirare il maestoso castello medievale (IX sec.). Qui nel 1382 trova la morte la regina Giovanna I di Napoli.
Soprattutto di sera, illuminato, insieme all’ex palazzo vescovile, il maniero offre un intimo spettacolo scenografico.
Mentre il primo nucleo del castello, rappresentato dalla torre posta alla sinistra dell’attuale ingresso, è attribuito ai longobardi, nei secoli si sono succeduti diversi interventi anche da parte degli angioini e poi degli Orsini, come l’abbattimento del ponte levatoio e la costruzione di un nuovo fabbricato appoggiato alle due torri.
Nel rione Pianello, il più antico del borgo, si trova la casa natale (1726) di San Gerardo Maiella, Patrono della Basilicata, nel tempo trasformata in una casa-cappella a lui dedicata. Tra gli altri luoghi che ricostruiscono l’infanzia del santo e ne mantengono vivo il ricordo si distingue la chiesa della Madonna di Capodigiano, che, secondo una leggenda, il Santo da bambino raggiungeva per venerare la statua della Vergine.
Proprio lungo questo percorso è stato strutturato l’”itinerario geraradino”, quello che dal rione Pianello condice a Capodigiano, lungo le pendici delle Ripe, attraversando la zona dei mulini e il ponte medievale sul torrente Rescio ancora visibili. Un percorso culturale-religioso che consente al visitatore di godere anche delle bellezze paesaggistiche presenti sul tratto attraversato.
Il tartufo è una delle prelibatezze della cucina murese, il cui profumo e sapore si propaga nella preparazione di invitanti piatti. D’altronde la sua produzione spontanea nel sottobosco che interessa il territorio del bel paese lo rende un elemento costante e prezioso nelle ricette locali.
Pasta fatta in casa, come lagane e fagioli, cavateli con la mollica, tagliolini con il latte, ma anche acquasale, patate e fagioli, dolci con le castagne sono alcuni degli squisiti piatti che si possono assaporare durante i pasti a Muro Lucano. A base di legumi e granoturco merita di essere assaggiata anche la “cuccia”, un piatto saporito e originale.
Sul territorio di Muro Lucano insistono spazi naturali di straordinario fascino, come le due grotte note anche come “vucculi”, in dialetto locale “botole” o “nascondigli”.
A circa 18 chilometri dal paese le grotte, considerate le più importanti formazioni carsiche presenti in Basilicata, sorgono in località Bosco Grande, a 1100 metri d’altitudine. Lunghi circa 1220 metri, i vucculi sono caratterizzati da stalattiti, stalagmiti, colonne e vele di insolita e affascinante bellezza, frutto dell’instancabile lavoro dell’acqua nel corso dei secoli.
Da tempo note ai pastori del luogo, sono state scoperte solo negli anni ’90 del secolo scorso. Entrambe le grotte, sin dal momento della loro scoperta, hanno suscitato e suscitano l’interesse di gruppi di speleologi attratti dagli stretti percorsi tra le rocce, che man mano assumono aspetti singolari ma intriganti fino a raggiungere un lago, il punto più basso di questo piccolo microambiente.
Un’atmosfera intima e spirituale avvolge il borgo presepe di Muro Lucano, che ha dato i natali a San Gerardo Maiella, Patrono della Basilicata.
Un patrimonio religioso e artistico di inestimabile valore appartiene al grazioso comune del potentino, a partire dalla sua splendida cattedrale dedicata a San Nicola distrutta e riedificata a causa di diversi terremoti.
A due chilometri dall’abitato, di particolare valore storico e artistico è poi il santuario della Madonna di Capodigiano (XII – XIII sec.) o Maria Santissima delle Grazie, nel quale San Gerardo, bambino, si recava per venerare la statua della Madonna con il Bambino.
Interessanti sono senza dubbio, alle falde della collina, il convento di Sant’Antonio, con annessa chiesa di Sant’Andrea Apostolo (XV), che custodisce le statue lignee della Madonna di Pompei e dell’Assunta, oltre al bel soffitto a cassettoni e una statua di Sant’Antonio (XVII sec.), la chiesa di San Marco Evangelista (XVI), in cui è conservata una tela raffigurante la Madonna in gloria (XVIII sec.) e, infine, le chiese della Madonna del Soccorso (XVII) e della Madonna della Neve (XVI).
LA CATTEDRALE DI SAN NICOLA
Proprio attigua al castello medioevale, sul punto più alto del borgo, svetta il tempio risalente ai secoli XII e XIII che negli anni, a causa di numerosi terremoti ha subito vari interventi di restauro che ne hanno mutato l’originario aspetto di chiesa rupestre in quello attuale.
A navata unica e a croce latina, all’interno si può ammirare una pregevole tela dedicata alla Madonna del Rosario, e nota come “Quadro della regina Giovanna”, della metà del XVI sec., opera del pittore fiammingo Cornelio Sammet. Sugli altari laterali, si distinguono diversi dipinti del ‘700, raffiguranti “Santi e anime purganti”, un bel crocifisso in legno policromo dorato del XVI sec. e alcune statue in terracotta del XVIII e XIX secolo raffiguranti i personaggi del presepe.
IL SANTUARIO DELLA MADONNA DI CAPODIGIANO O SANTA MARIA DELLE GRAZIE
A circa 2 chilometri dall’abitato, in località Capodigiano, sorge la chiesa di Santa Maria delle Grazie, (XII-XIII sec.), con interno a tre navate e pilastri quadrati.
ll Santuario della Madonna di Capodigiano ha un particolare significato perché qui, solo e avvolto da profonda devozione, si recava San Gerardo bambino per venerare la statua raffigurante la Madonna con Bambino.
L’edificio è stato realizzato dal maestro Sarolo di Muro su un luogo di culto preesistente. La facciata, decorata da tre leoni e un’ara circolare, di età tardo imperiale, è impreziosita da un portale bronzeo realizzato nel 1998. Ad attrarre fedeli nel santuario è ancora la statua lignea intagliata, dipinta e stuccata raffigurante la Madonna col Bambino, databile tra il XIV e il XV secolo.
Riconosciuto sito di interesse comunitario (SIC) della Basilicata, il Monte Paritiello, alto 1445, è un’oasi naturale ricca di boschi e habitat ideale di varie specie faunistiche.
Compresa nell’Appennino Lucano, l’area verde è attraversata da numerosi boschi, soprattutto faggete a quote medio-alte, e specie floristiche, per questo è spesso meta di visitatori che amano perdersi nella natura per esplorarne le peculiarità più intime.
Il Monte Paritiello è particolarmente frequentato in estate, quando l’intera Montagna Grande di Muro Lucano, dove si possono ammirare giganteschi esemplari di faggio, è luogo di incontro grazie all’organizzazione di manifestazioni a tema o entusiasmanti escursioni.
Nei boschi che circondano l’abitato del “borgo presepe” di Muro Lucano non è raro individuare alcune specie di tartufo nero o del famoso tartufo bianco, il cui profumo e sapore spesso domina sulle tavoli muresi impreziosite da piatti succulenti.
Varie zone archeologiche sorgono nella vallata in cui ricade Muro Lucano, come in località Raia S. Basilio, dove sorgeva l’antica Numistro, luogo di scontro fra Annibale e Marcello (210 a.C.), ma di straordinario valore è il Museo Archeologico Nazionale di Muro Lucano.
Il museo ha sede presso l’ex seminario vescovile in cui ospita le attestazioni del territorio della Basilicata nord-occidentale. Il percorso di visita si articola su tre piani in senso cronologico con diverse sezioni: la prima illustra i risultati degli scavi condotti nell’insediamento di Baragiano, attraverso la ricostruzione di un settore della necropoli arcaica in cui sono stati ricollocati i più importanti corredi funerari; la seconda è dedicata alla fase lucana; la terza documenta il processo di romanizzazione dell’area, attraverso testimonianze provenienti dalle necropoli e dalle numerose ville individuate nel territorio.
Una sezione, infine, è dedicata al mestiere dell’archeologo e alle diverse fasi dello scavo.
Laurenzana
Il comune di Laurenzana rientra all’interno del Parco Nazionale dell’Appennino Lucano Val D’Agri Lagonegrese.
Il suo grazioso abitato è dominato dai resti del castello risalente al XIII secolo, poco distante dal quale sorge la Riserva dell’Abetina, un ambiente naturale di straordinaria bellezza attraversata da oltre trecento ettari di boschi popolati da magnifici esemplari di abete bianco e faggi. Questa stupenda area verde è meta di visitatori amanti della natura e di escursioni da organizzare tanto durante la stagione invernale quanto nei mesi più caldi.
Non mancano interessanti edifici sacri da ammirare insieme alle opere d’arte in essi custoditi.
Si può affermare che le origini di Laurenzana risalgono con molta probabilità al XII secolo, epoca in cui i Normanni, puntando sulla posizione strategica del paese, edificano il castello.
Il paese subisce diverse dominazioni e, successivamente a quella aragonese, viene acquisito da diverse famiglie feudali.
Da un documento del 1154, il Catalogo dei Baroni, emerge che Guglielmo, figlio di Matteo di Tito, è il feudatario normanno di Laurenzana.
termine del regno svevo si registra l’avvento degli Angioini e nel 1442 il feudo di Laurenzana passa nelle mani degli Aragonesi. Dal 1454 nel possesso del feudo di Laurenzana si avvicendano diverse famiglie baronali: dagli Orsini Del Balzo ai conti Poderico, cui seguono i Loffredo, i conti Filangieri e i De Ruggiero, quindi i Gaetani D’Aragona. Fino ai primi decenni del novecento il vecchio castello di Laurenzana viene abitato dai Quarti di Belgioioso.
Raggiunto il centro storico di Laurenzana non si resiste alla tentazione di percorrerne le stradine che conducono fino al castello, o a quanto di esso resta, in cima alla rupe.
In posizione dominante rispetto all’abitato e collegato per secoli da un ponte di legno, il maniero è stato roccaforte bizantina e longobarda, per assumere le sembianze di castello durante il periodo normanno.
La cinta muraria e la torretta circolare rappresentano le tracce più antiche dell’originaria costruzione dalla quale, comunque, emerge l’originaria maestosità enfatizzata dall’illuminazione notturna.
La cucina di Laurenzana ha un sapore antico, tra ingredienti genuini e ricette rivisitate.
I piatti tipici sono quelli della tradizione contadina in cui non può mancare la pasta fatta in casa, come in gran parte della Basilicata, associata a legumi e a sughi intensi anche a base di carne.
Da non perdere, senz’altro, i “ferriciedd” (ferretti) con la mollica, ma un piatto davvero indimenticabile è rappresentato dalle cosiddette “patan alla runzanese”, secondo il dialetto locale, squisite patate ripiene di salame e uova.
Compreso nel Parco Nazionale dell’Appennino Lucano Val D’agri Lagonegrese, Laurenzana è il comune nel cui territorio rientra l’affascinante Abetina di Laurenzana.
La Riserva regionale si estende su una superficie di 330 ettari ed è caratterizzata da diverse specie vegetali tra cui predomina il raro abete bianco, oltre ad esemplari di faggi e querce.
L’area è popolata anche da numerosi animali come il lupo e il gatto selvatico, la lepre, il ghiro e il quercino, né mancano anche volatili, quali il nibbio reale, lo sparviero, la poiana e il gheppio. La riserva è aperta tutto l’anno e per questo consente visite guidate anche a scolaresche.
Nella vallata tra i comuni di Trivigno, Anzi, Albano di Lucania e Laurenzana è inoltre “incastonato” il Lago di Ponte Fontanelle, meglio noto come Diga della Camastra, un suggestivo lago scelto dagli appassionati per la pratica della pesca di diverse specie dalle trote, carpe e persici reali.
Non molto distante dal castello feudale si può raggiungere la chiesa madre di Laurenzana, dedicata all’Assunta, la quale svetta su un ampio sperone roccioso.
Se la sua costruzione viene completata nel 1222, con la consacrazione al culto di Santa Maria de Plateis, risale invece aI 1707 l’edificazione del campanile a pianta quadrata a cinque livelli sullo strapiombo roccioso, mentre nel 1723 la chiesa viene riconsacrata a Santa Maria Assunta.
Dell’arredo settecentesco ancora oggi sono visibili il soffitto ligneo della zona presbiteriale, il coro, gli armadi della sacrestia e i dipinti murali sui soprarchi della navata centrale. Sul soffitto della navata centrale si possono inoltre ammirare affreschi attribuiti al Colonna e dipinti su tela, come quello raffigurante la Santissima Trinità e Santi del Pietrafesa. Molto significativa è anche la tela raffigurante la Madonna con in braccio Gesù, un angelo, San Gaetano alle spalle di San Filippo Neri.
Interessante è anche il convento francescano di Santa Maria della Neve in cui si possono ammirare monumenti di valore storico e di pregio artistico. In alcune vele del chiostro sono ancora riconoscibili gli episodi della vita di San Francesco e del Beato Egidio da Laurenzana.
Castelgrande
Arroccato su uno spuntone di roccia, Castelgrande è uno dei paesi più caratteristici dell’Appennino Lucano in cui convivono attrattive naturali, culturali e scientifiche di immenso valore.
Il piccolo comune è sede non solo di un interessante patrimonio architettonico, ma anche di un noto Osservatorio astronomico in località Toppo, centro internazionale per studi ed esperimenti di astrofisica.
I ruderi di un antico castello angioino sono a guardia del borgo, la cui antica origine è testimoniata dai resti di un abitato del V secolo a.C. e da mura megalitiche.
Il primo riferimento a Castelgrande risale al 1239, in quella fase in cui l’Imperatore Federico II impartisce disposizioni rispetto alla manutenzione dei castelli.
Diversi avvenimenti storici caratterizzano il passato del paese: nel 1648 è un castelgrandese a guidare gli insorti durante la rivolta anti spagnola, il suo nome era Matteo Cristiano. Negli anni successivi una terribile peste investe il paese decimando gran parte della popolazione.
Il nome del piccolo borgo è legato a quello di Guglielmo Gasparrini, che nasce a Castelgrande nel 1803. Si tratta del botanico tra i più illustri del XIX secolo, morto a Napoli nel 1866. In suo onore, in occasione del centenario della scomparsa è stato eretto un busto bronzeo in piazza Dante.
Castelgrande è un gioiello architettonico da visitare, tra antichi portali che impreziosiscono palazzi storici con decorazioni in pietra, stradine e vicoli di particolare suggestione, strutture scientifiche e culturali di intenso fascino.
Si può partire dalla visita del borgo, ammirando Palazzo Cianci, costruito agli inizi del 1600 con un portone in stile barocco su cui vi è visibile un pregevole fregio e procedere verso i ruderi di un antico castello angioino che presidiano il borgo, la cui antica origine è testimoniata dai resti di un abitato del V secolo a.C. e da mura megalitiche.
Ma l’escursione a Castelgrande può assumere sfumature davvero originali. Gli amanti della scienza e delle sue infinite declinazioni, sul colle Toppo, possono scoprire l’Osservatorio astronomico gestito dal comune e dall’analoga struttura scientifica di Capodimonte di Napoli. Dotato di un telescopio altazimutale, è sede anche di convegni, mostre e dibattiti a tema.
Successivamente, in località Accolta, è sorto un Osservatorio per Astrofili, molto frequentato soprattutto da scolaresche della provincia di Potenza, ma anche delle regioni limitrofe, per lo più Puglia e Campania.
Dedicato al botanico castelgrandese Guglielmo Gasparrini (Castelgrande, 1803 – Napoli, 1866), molto originale è anche il “Parco dei colori” che si estende su una superficie di circa 2 ettari in località Coppolo, dove confluiscono habitat naturali molto diversi tra loro.
A Castelgrande signori della tavola sono gli squisiti formaggi, in particolare pecorino e caciocavallo, e i salumi, prosciutto, soppressata, capocollo e salsiccia.
Nel paese del Marmo Platano molto diffuso, soprattutto in occasione della domenica delle Palme è una particolare tipologia di pasta casereccia, nota con il nome di “tacconelle”, condita con un saporito sugo a base di mollica di pane e noci.
Il monte che sovrasta, imponente, il nucleo urbano di Castelgrande, è il monte Giano, sinuoso e affascinante come gran parte del territorio che circonda il piccolo comune.
A Castelgrande nel 1803 nasce il botanico Guglielmo Gasparrini e proprio a lui è dedicato il Parco dei Colori che si estende su una superficie di circa 2 ettari, in località Coppolo.
Se osservata dall’alto essa ricorda i contorni di una foglia che, a metà della sua nervatura, presenta la “goccia di rugiada”, la Butterfly House, una grande semisfera trasparente all’interno della quale una vegetazione lussureggiante ospita farfalle provenienti da tutto il mondo.
Il parco insomma è il luogo ideale per quanti sono pronti a vivere un’esperienza tra natura e arte, lasciandosi guidare in un’escursione, didattico – scientifica che lascerà il segno!
Poco fuori dell’abitato, a Castelgrande, si può visitare la chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, costruita con molta probabilità intorno al 1200.
Il tempio è stata rifatto nel 1500 e poi ampliato nel 1614. Si tratta di una chiesa a pianta centrale a croce greca con i bracci terminanti in absidi. Al suo interno sono ben conservate opere d’arte tra le quali spiccano oli su tela del XVI e XVII secolo. Qui è venerato il bassorilievo della Vergine che secondo la tradizione sarebbe arrivato da Costatinopoli, forse trafugata al tempo delle persecuzioni contro le immagini sacre.
Da non perdere è anche la chiesa madre dedicata a Santa Maria Assunta, aperta al culto nel 1631, come indicava la scritta in latino sulla porta laterale: “Questa è la casa del Signore saldamente edificata e ben costruita sulla solida roccia nell’anno del Signore 1631. Completamente distrutta dal terremoto del 1980, dopo una lunga fase di ricostruzione, la chiesa è stata riaperta nel 2008.
La natura che circonda Castelgrande è uno straordinario contenitore di luoghi in cui praticare attività all’insegna di divertimento ed emozioni.
Si può scegliere di percorrere itinerari dalla vocazione naturalistica e spirituale, e scoprire così il santuario di Santa Maria di Costantinopoli, ma anche il crinale sinuoso del Monte Giano, oltre al centro storico del paese. Ci si può spingere fino all’area archeo-astronomica “Cannalicchio”, per poi ammirare gole calcaree che concorrono a regalare panorami unici, come accade nel caso della splendida gola di “Vallone Vivo”, ideale per la pratica del canyoning.
Attraverso sentieri appositamente segnalati si può arrivare fino al Parco Boulder L’Agrifiglio, in località Palazzuolo, area in grado di soddisfare le attese degli appassionati di bouldering e arrampicata sportiva.
Non meno emozionante può essere l’esperienza sulle sponde del torrente Fiumarella a stretto contatto con la natura per adulti e bambini.
Brienza
L’affascinante borgo medioevale dominato dal castello Caracciolo fa di Brienza un luogo da scrutare per conoscerne il passato e viverne il presente e le sue bellezze ambientali.
Tra gli stretti vicoli svettano palazzi nobiliari con androni finemente lavorati e portali, il più bello dei quali si può riconoscere nel “Chiazzino”, posto proprio dove un tempo si trovava l’accesso principale al borgo. Partendo da questo punto, ci si inerpica per le fitte stradine della rocca prima di raggiungere il castello.
Arrivati in piazza Municipio, invece, si può ammirare il monumento in bronzo che ricorda la figura di Mario Pagano, giurista e patriota, martire della Repubblica partenopea nel 1799 e originario proprio di Brienza.
Oltre al patrimonio artistico, architettonico e religioso, il paese, che ricade nel Parco Nazionale dell’Appenino Lucano Val D’Agri Lagonegrese, è circondato da una immensa ricchezza ambientale e paesaggistica, anche perché la sua posizione strategica lo rende punto di incontro tra la Val d’Agri e la valle del Melandro.
L’origine longobarda di Brienza sembra evidente già nel suo nome la cui radice “burg”, luogo fortificato, deriva dal latino “Burgentia”.
Va detto, però, che il primo nucleo si potrebbe datare al VII secolo d. C. e che il borgo antico si sviluppa sopratutto dopo il 1000, intorno al castello di fondazione angioina legato anche alla conquista normanna, poi al passaggio a Federico II e, successivamente, ai d’Angiò, quindi ai Caracciolo.
Il borgo ha conservato perfettamente la sua architettura medioevale il che conferisce un particolare fascino al paese.
In una delle tante passeggiate possibili a Brienza, fissando la meta nel maestoso maniero di probabile fondazione angioina, ci si imbatte nella “Via degli Archi”, composta da una serie di stretti archi a tutto sesto spesso inaccessibili anche al sole e che si rincorrono in un vicoletto, il quale sfocia in una piazzetta scoscesa dove le case sembrano proiettarsi nella roccia.
Lungo le vie del paese si possono ammirare anche palazzi nobiliari con portali e androni finemente lavorati che ricordano le numerose e importanti famiglie che hanno governato il borgo fino ai Caracciolo. In piazza del Municipio, oltre al monumento bronzeo raffigurante l’illustre giurista burghentino Mario Pagano, affacciano anche l’ex convento dei Frati minori osservanti, oggi sede del Municipio e l’annessa chiesa dell’Annunziata.
Un centro studi dedicato al giurista burghentino Mario Pagano ha sede nell’omonima piazza.
IL CASTELLO CARACCIOLO
L’antico centro si caratterizza per il modello ad avvolgimento che trova il suo fulcro naturale proprio nel maniero, dal quale si divincolano una miriade di case e casette aggrappate alla roccia scoscesa.
L’antica fortezza, di origine angioina, come si può evincere dal mastio cilindrico, che svetta dalla sua imponente mole, e dalla semitorre circolare proprio al centro della cinta muraria, è uno dei gioielli di Brienza. Una scalinata in pietra, a cielo aperto, e assolutamente visibile, conduce ad un terrazzo a terrapieno proprio davanti all’ingresso principale.
Secondo un’antica tradizione il castello si compone di 365 stanze, una per ogni giorno dell’anno. L’illuminazione serale conferisce al castello Caracciolo di Brienza un’atmosfera incantevole che non lascia indifferenti quanti osservano la fortezza.
In estate il castello Caracciolo si trasforma in una location dalle magiche atmosfere.
Minestre a base di verdure e legumi, ma anche i primi piatti a base di la pasta fatta in casa, come fusilli, orecchiette, cavatelli, ravioli e lagane, deliziano i palati di quanti hanno l’occasione di provare la cucina burghentina.
Tra i secondi si alternano squisite e genuine carni di agnello, capretto, coniglio, vitello e maiale, accompagnati da ottimi funghi, e deliziose portate con il tartufo nero di Brienza. Rinomata è anche la produzione casearia, con ottime mozzarelle, caciocavalli, provoloni e burrini, da non perdere anche gli insaccati, tra salsicce, soppressate e capicolli.
Uno spettacolo suggestivo e unico scorre sotto lo sguardo di chi osserva il paesaggio che abbraccia Brienza, uno dei comuni del Parco Nazionale dell’Appennino Lucano Val D’Agri Lagonegrese.
Il paese è circondato da boschi e per questo scrigno di bellezze ambientali e paesaggistiche, favorite anche dalla sua posizione strategica, in quanto punto di incontro tra la Val d’Agri e la valle del Melandro. Oltre l’80 per cento del territorio burghentino è ricoperto da un patrimonio boschivo che comprende una sorprendente varietà di specie biologiche e faunistiche.
Estesi boschi di Faggio dominano sul monte San Gennaro, ma di particolare impatto sono anche le varietà di querce e castagno, da cui il nome della bella località “Castagneta”, ai piedi del Monte del Santissimo Crocifisso.
Aria pura e silenzio imperante caratterizzano poi la località Lago. In uno degli scorci più suggestivi del paesaggio si distingue, inoltre, la “Roverella”, una quercia ultrasecolare a oltre 1000 metri di quota. Se si vuol godere di uno spettacolo naturale mai visto prima, basta porsi in località strategiche come il castello Caracciolo e il rione Torricella, la parte più antica del paese, stello Caracciolo.
Si tratta della pietrificazione del fiume che, eroso dall’incessante lavorio dall’acqua nel tempo, presenta grandi buchi in cui si raccoglie l’acqua fino a creare piccole isolette di pietra.
Un viaggio a Brienza non può prescindere dalle sue chiese tutte impreziosite da interessanti elementi decorati e opere d’arte.
Da vedere sono sicuramente la chiesa madre dell’Assunta, risalente all’XI secolo ma ristrutturata nel ‘700, e la chiesa della Madonna degli Angeli, non molto distante dal paese, arricchita da pregevoli affreschi del pittore lucano Giovanni De Gregorio, detto “Il Pietrafesa”.
In piazza Mario Pagano affacciano il convento dei Frati Minori Osservanti, oggi sede municipale, il cui chiostro è decorato da splendidi affreschi, e l’annessa chiesa dell’Annunziata che, sull’altare maggiore, presenta un dipinto su tavola raffigurante la Deposizione, mentre sui dieci altari laterali consente di ammirare le statue dei santi. Suscita particolare interesse anche un pulpito ligneo del 1735 di Antonio la Sala di Potenza.
Percorrendo uno dei più suggestivi vicoli di Brienza, la cosiddetta “strettula di Maruggi”, si raggiunge la splendida chiesa duecentesca di San Zaccaria, con all’interno splendide opere d’arte. Il visitatore non resta indifferente, innanzitutto per la posizione geografica, circondata com’è da boschi, davanti alla Chiesa del Santissimo Crocifisso, secondo alcune fonti risalenti al 1237. Il piccolo edificio, a unica navata, custodisce affreschi settecenteschi.
E tra gli avvenimenti spirituali più sentiti dalla popolazione locale, ogni anno, in due tempi distinti, si svolge proprio la Festa del Santissimo Crocifisso. La prima domenica di maggio, quando il Crocifisso, con una storia intensa e mistica, viene trasportato dalla Chiesa di Santa Maria Assunta, fino al Santuario sul monte lungo un percorso faticoso contraddistinto dalle Stazioni della Via Crucis. Prima si tiene il commovente momento in cui la Madonna Addolorata “accompagna” il figlio Crocifisso in processione fino al Largo San Nicola allo Spineto.
Una volta giunto nel Santuario il Crocifisso resterà vi resta esposto fino alla terza domenica di settembre, per fare ritorno verso Brienza, nella Chiesa di Santa Maria Assunta.
Calvello
Il borghetto di Calvello incuriosisce ancora prima di averlo raggiunto con le sue case in pietra addossate l’una all’altra e i vicoli scoscesi, molti dei quali raggiungibili solo a piedi.
Passeggiando lungo il suo centro storico, racchiuso da fitte faggete che ricadono dal monte Volturino, si scoprono botteghe artigiane in cui persiste la tradizionale produzione di ceramica artistica.
Calvello è custode di un patrimonio artistico, religioso e storico di considerevole valore come si può riscontrare tra angoli, archi e vicoli da cui spiccano le sue numerose e intime chiese. Di origine greca – come ipotizza il suo cittadino d’eccellenza, lo scultore Antonio Masini – o medioevale è uno dei borghi più incontaminati di tutta la Basilicata.
Il paese, infatti, non è solo scrigno di storia e di cultura, ma un centro montano dalle presenze faunistiche e dai paesaggi mozzafiato e anche il luogo ideale per praticare gli sport invernali, dal momento che rientra nel comprensorio sciistico del Monte Volturino.
Una forte presenza benedettina si riscontra sul territorio di Calvello, come dimostra la fondazione del priorato di Santa Maria del Piano, intorno alla metà del XII secolo, e la costruzione del cenobio di San Pietro a pochi chilometri dal centro abitato.
Diversi signori si sono avvicendati al comando del borgo, in particolare, nell’ultimo trentennio del XIII secolo, con gli Angiò, a Calvello, si succedono feudatari provenienti anche dalla Francia: de Petruro, Oddone de Fontaine e poi il figlio Enrico Bourguignon.
Epocale il passaggio dal dominio svevo a quello angioino.
Calvello si lascia scoprire a poco a poco dalla collina su cui sorge, parte del Parco Nazionale dell’Appennino Lucano Val D’Agri Lagonegrese, dominato da una fortezza longobarda.
Una volta qui ci si può fermare in piazza Falcone, proseguire attraverso corso Vittorio Emanuele, per poi raggiungere piazza Marconi e piazza del Sedile, in questo modo agli occhi del visitatore si schiude il suggestivo centro storico dal considerevole patrimonio artistico e monumentale.
Gran parte dei tesori artistici sono visibili all’interno delle belle chiese, da quella madre dedicata a San Giovanni Battista, alle chiese di Santa Maria del Piano o di Santa Maria degli Angeli e molte altre.
Nelle varie tappe ci si imbatte poi nel ponte vecchio di Sant’Antuono, sul torrente La Terra, una costruzione in pietra del XIII secolo ad arcata unica, originale, tecnicamente perfetta, armoniosa e funzionale, mentre un impatto importante è si ha con il castello – sorto in epoca medioevale sui resti di un’antica roccaforte longobarda – che domina l’intero paesaggio dalla cima del promontorio su cui sorge il paese.
Di particolare interesse sono i diversi quartieri che attraversano Calvello, come il tranquillo “Rione Piano” – “lu chian”, in dialetto locale, primo insediamento abitativo del paese che si è sviluppato intorno al complesso edificato dal benedettini prima del 1177. Chi arriva qui è avvolto da un silenzio che spinge quasi alla meditazione. Il “Rione Purgatorio”, poi, coincide con la parte più popolosa della cittadina e si stende fino a “lu muruce”, la murge.
A Calvello sopravvive una accurata produzione artistica della ceramica da cui prendono forma piatti, bicchieri, caraffe con motivi decorativi che prendono spunto dalle peculiarità del pasto e dei prodotti locali, mentre nella greca che adorna il bordo dei piatti prevale il verde dei boschi e il giallo dei campi di grano. Al centro è rappresentato un uccello intento a beccare un ramoscello di quercia.
La “pezzatela” è una delle prelibatezze tipiche di Calvello, un pasticcio rustico fatto di formaggio fresco, salsiccia, uova.
Sfiziose e invitanti sono anche le “scarpedde”, pasta di pane lievitata e fritta in abbondante olio decorata da una spolverata di zucchero. Il sapore dei salumi a Calvello ha un carattere particolare tanto da renderli irrinunciabili, per crederci basta provare salami, soppressate, pezzenti, filetti affumicati dalla accurata e tradizionale lavorazione per poi essere conservati nella “sugna”.
Quanto ai vini, nonostante la produzione sia frammentaria, le qualità prodotte sono varie. Benché la varietà dei vini non sia rilevante, possono risultare senz’altro interessanti il moscato di Giosano e la malvasia del Sorbaro.
A fare da sfondo al borgo di Calvello, compreso nel Parco Nazionale dell’ Appennino Lucano Val d’ Agri Lagonegrese, è il Monte Volturino da cui si può ammirare una panorama unico e vasto al punto da abbracciare le valli del Basento e dell’Agri, fin quasi al Mar Jonio.
Il territorio è circondato dai boschi di Autiero, del Casone e Cacciatizze, in cui predomina il muschio sui tronchi di cerri e di roverella, mentre è molto probabile imbattersi in lepri e volpi o avvistare picchi e merli. Raggiungendo l’area che comprende il fosso Varlanza e la Piana Patatara, seguendo la pista da sci, si può arrivare alle sorgenti di Colantonio (1250 m.), proprio a ridosso della strada provinciale che conduce al Santuario della Madonna del Monte Saraceno, alle cui spalle si può ammirare anche la grotta dell’ Eremita.
Questo punto è davvero molto suggestivo, perché il contrafforte domina la Valle di Piesco, con i versanti del Cugno del Salice e della Tempa la Posta, mentre tutt’intorno svettano le cime rocciose del Monte Viggiano e Monte Rotunno.
Visitando il borgo antico, i principali rioni storici e, uscendo anche un po’ fuori da questi confini, si possono scoprire luoghi di spiritualità mistici e indimenticabili.
Le chiese di Calvello, oltre alle loro pregevoli architetture, si distinguono perché scrigni di opere d’arte di gran pregio. La chiesa di Santa Maria del Piano (XII sec.), ritenuta una delle più belle della regione, presenta uno splendido portale romantico. mentre all’interno si possono ammirare dipinti murali di eccezionale qualità e un’interessante statua lignea raffigurante la Madonna col Bambino (XII sec.) con influssi bizantineggianti. Di particolare valore è il chiostro.
Nella quattrocentesca chiesa madre di San Giovanni Battista, in prossimità dell’altare maggiore, si distingue una tela di scuola napoletana del Seicento raffigurante il santo giovane. Qui è conservata una tela raffigurante la Madonna di Costantinopoli, di scuola fiorentina (‘500), considerata la più preziosa conservata a Calvello. Belle anche le due sculture lignee del Cristo crocifisso e della Vergine Santissima della Pietà. La chiesa di Santa Maria degli Angeli (fine ‘400) è nota per i pregevoli affreschi datati 1616 e firmati da Girolamo Todisco.
Per godere in pieno del panorama in cui si staglia l’abitato di Calvello occorre raggiungere l’unico insediamento in Basilicata della Congregazione Pulsanese, fondata da S. Giovanni da Matera intorno al 1128-29: il Cenobio di San Pietro.
A ridosso del Volturino, sulla cima di uno sperone roccioso, svetta il Santuario Maria Santissima del Monte Saraceno”, gioiello da cui si gode un altro scorcio incantevole del territorio che circonda Calvello. All’interno è conservata la Sacra Effige della Madonna del Monte Saraceno, custodita in un’urna denominata “Caggia” (capsula).
Proprio in onore della Madonna del Monte Saraceno si tiene uno dei pellegrinaggi che segnano la spiritualità e la devozione del popolo lucano tra costumi, folklore devozione e allegria. La seconda domenica di maggio la statua viene trasportata dalla chiesa parrocchiale al santuario, mentre l’8 e il 9 settembre, fa ritorno in paese.
Nel 2012 il caratteristico borgo di Calvello è stato set cinematografico del film “Quando il Sole Sorgerà” di Felice Vino, per la regia Andrea Manicone.
Un film dai temi forti che ha tra i suoi protagonisti Lorenzo Flaherty, Rita Del Piano e Nando Irene, i quali si sono calati nei rispettivi ruoli girati tra Calvello, Potenza e Roma. Per i ciak battuti nel paesino compreso nel Parco Nazionale dell’Appennino Lucano, Val D’Agri Lagonegrese, la troupe del lavoro per il grande schermo ha potuto godere degli splendidi paesaggi circostanti, delle mistiche atmosfere che caratterizzano il paese e dell’ospitalità della gente del posto.