Cancellara borghi basilicata turistica

Cancellara

Al visitatore che vi giunge per la prima volta Cancellara appare come un presepe che, soprattutto al tramonto, puntellato di lucine, trasmette una sensazione di serenità e accoglienza.

Il borgo del paese sorge su una collina dalla quale fa capolino il castello baronale, nei cui pressi svettano le chiese di Santa Maria del Carmine e Santa Caterina d’Alessandria. Percorrendo l’intero centro storico si possono ammirare anche altre bellezze architettoniche che non lasciano indifferenti, ciascuna velata da una misteriosa leggenda.

Cancellara è nota anche per il “Salsiccia Festival”, un gustoso evento enogastronomico incentrato sulla prelibatezza di uno dei prodotti tipici locali in grado di deliziare anche i palati più esigenti.

L’origine del paese si data intorno al X-VII secolo a.C., mentre al periodo di influenza federiciana risale l’imponente castello medioevale, una delle più spettacolari attrazioni artistiche e culturali del paese.

L’ulteriore espansione culturale e spirituale del paese si deve ai Frati minori del Convento dell’Annunziata (XVIII sec.), cui si accompagna anche lo sviluppo urbanistico con la costruzione dei numerosi palazzi signorili.

Cancellara tra il 1647 e il 1648 partecipa ai moti popolari contro il fiscalismo spagnolo, mentre nel 1694 subisce un grave terremoto che ne danneggia seriamente il castello.
Il 1799 segna un altro momento storico importante per l’adesione del paese agli ideali della Repubblica Partenopea, mentre nell’Ottocento la città è sede di attività collegate alla carboneria pre-risorgimentale. Diversi terremoti mettono a dura prova Cancellara, fino a quello del 1980 che devasta la cinquecentesca chiesa madre.

Il rione più antico di Cancellara in dialetto locale si chiama “U Lammard”, il Lombardo, e rimanda alla probabile origine longobarda del paese.

Posto nella zona nord il quartiere medioevale è caratterizzato da moltissime e graziose case costruite in pietra. A dominare il paesaggio del borgo antico è però l’imponente castello baronale, che conserva ancora la caratteristica struttura feudale a fuso.

Costruito dalla famiglia Acquaviva d’Aragona intorno al Trecento, l’impianto si sviluppa su tre livelli intorno a un cortile interno quadrato. In esso sono stati ospitati, in un passato glorioso, i vari principi feudali: dai Caracciolo a i Carafa, fino ai Pappacoda.

Proprio vicino al maniero si può ammirare la chiesa matrice di Santa Maria del Carmine, mentre alle sue spalle, nella più parte bassa del borgo antico, si trova la chiesa di Santa Caterina d’Alessandria, la più antica del paese, poi dedicata a Sant’Antonio.

Il visitatore non resta indifferente davanti ai portali in pietra lavorata, mascheroni e logge di gusto classico che contraddistinguono le architetture molte delle quali sono raggiungibili attraverso stradine tortuose dal fascino senza tempo.

Quando dici “sapori” a Cancellara dici “salsiccia”, quella prelibata, gustosa, inimitabile, che solo qui può essere assaporata e preparata in diverse ricette.

Stagionata e dalla tipica forma a “U” è un capolavoro del gusto per le sue sfumature intense e lievemente piccanti. La salsiccia di Cancellara, a settembre protagonista di un consolidato festival enogastronomico, viene preparata “a punta di coltello”  e l’impasto utilizzato per rendere il suo sapore autentico e inimitabile viene arricchito con semi di finocchio selvatico e peperoncino rosso in polvere.

Ottimi sono anche i formaggi freschi e stagionati, oltre ai primi piatti a base di pasta fatta in casa condita con sughi di carne.

Il patrimonio ambientale che impreziosisce il territorio di Cancellara offre una molteplice diversificazione diversificazione di paesaggi che comprendono i Boschi Costa Lagariello e Littorio.

Il paese ricade nella affascinante valle dell’Alto Bradano, che lascia estasiati i visitatori per la sequenza di morbide colline che si succedono fino al fiume Bradano, incorniciate come sono dalla catena montuosa dell’Appennino lucano.

Nessuna descrizione più sapiente di quella offerta dallo scrittore lucano Raffaele Nigro ne “L’Alto Bradano” potrebbe rendere meglio l’idea di questo angolo di Basilicata: “…Salendo dalle pianure della Puglia, dopo il vestito erboso delle colline dolci del sud si sprigiona un paesaggio arcaico, meno popoloso, una fioritura di colli e cocuzzoli ai quali si aggrappano le strade, le masserie spesso in abbandono e i paesi. Paesi di calce e di pietra che fuggono verso valle in cerca di periferie agevoli ma che restano nonostante gli sforzi della modernità abbarbicati nei nuclei medievali alle parti alte dei monti…”.

La spiritualità a Cancellara si percepisce in luoghi sacri custodi di belle opere d’arte ed elementi di arredo di spiccato interesse e valore.

Proprio nei pressi del castello è visitabile la chiesa madre di Santa Maria del Carmine (XVI sec.), caratterizzata da un singolare campanile e con all’interno il cinquecentesco quadro della Madonna delle Grazie. Alle spalle del maniero, proseguendo lungo le caratteristiche viuzze del borgo antico, si raggiunge quella che fino a qualche secolo fa era la chiesetta di Santa Caterina di Alessandria, oggi conosciuta come cappella di Sant’Antonio. All’interno sono conservati i resti di Pietro Cancellario, comandante Romano che, secondo la tradizione, avrebbe dato nome e origine al paese.

Percorrendo una stretta e suggestiva stradina, si arriva poi alla cappella di San Rocco (XV sec.), con campanile e orologio settecenteschi. In Largo Monastero sorge l’ex convento francescano dei Frati Minori, edificato nel 1604 dai coniugi Caracciolo-Pappacoda de la Nois, signori di Cancellara. Annessa al complesso, oggi sede del Municipio, è la chiesa della Santissima Annunziata (1604), con portale in pietra locale scolpita (1763). L’interno, a due navate, conserva diversi dipinti, come una tela di scuola napoletana raffigurante un’Annunciazione,

dipinta nel Seicento da Giovanni Balducci, e affreschi, tra cui quelli che propongono diversi santi realizzati dal pittore lucano seicentesco Giovanni De Gregorio, detto “Il Pietrafesa”.

In località Serra del Carpine, a Cancellara, sono stati condotti scavi archeologici che hanno portato alla luce reperti di straordinario interesse e valore.

Sull’area sono stati rinvenuti corredi funerari e ceramiche facenti che testimoniano la presenza di un villaggio risalente al X-VII secolo a. C. Questi sono attualmente conservati all’interno del Museo archeologico provinciale di Potenza.


Baragiano

Una volta a Baragiano, nel cuore del Marmo Melandro, area dominata dal verde intenso di boschi di cerri, faggi e abeti, ci si sente parte integrante dell’archeologia lucana.

Nella località Toppo Sant’Antonio, ha sede il sorprendente Archeoparco del Basileus, ideato sul luogo in cui sono stati ritrovati parecchi reperti archeologici, come la tomba di un “basileus”, re dei “Peuketiantes”, che proprio qui, 2.500 anni fa, è vissuto ed è stato sepolto con le armi e i simboli del potere.

Un tuffo nella storia che lascia senza parole i più giovani e arricchisce la conoscenza degli adulti, rivelando la ricchezza di uno straordinario passato.

Sono gli innumerevoli ritrovamenti archeologici a testimoniare le antiche origini del paese, i quali affiorano già a partire dal nome del paese, Baragiano.

Per alcuni studiosi potrebbe derivare da “Ara Jani”, ara di Giano, il tempio scoperto proprio nei pressi dell’attuale paese, e successivamente divenuto “Barajanum” da cui Baragiano.

Un documento del 1124 indica che il comune del Marmo Platano, nell’area nord occidentale della Basilicata, sia appartenuto a Landolfo, principe longobardo, mentre in un altro testo scritto (1150-1168) risulta feudo di Riccardo di Santa Sofia. In seguito Baragiano è appartenuto a numerose famiglie dai De Sangri agli Alagno, dai De Frisco ai Caracciolo, quindi ai Rendone, poi ai Caracciolo di Avellino, agli Arcella Caracciolo e, infine, ai Caracciolo di Torella.

Il popolo baragianese ha manifestato un forte spirito di iniziativa, quando nel 1799 si sono battuti per la repubblica partenopea, mentre nel 1860 hanno preso parte alla spedizione di Garibaldi. Il 1861 è ricordato come un anno  difficile, nel quale il paese subisce l’occupazione dei briganti, comandati dal picernese Saverio Cerbasi, detto Spavento.

Baragiano mantiene vivo il contatto con il suo passato non solo attraverso i tanti ritrovamenti archeologici.

Passeggiando nel suo centro storico si possono ammirare i bei portali che decorano palazzi di famiglie gentilizie, tra tutti degni di nota sono Palazzo Iura e Palazzo Venetucci. Spingendosi fin sul punto più alto del paese, proprio sulla salita che porta alla chiesa madre dell’Assunta, sorge un maestoso palazzo a forma rettangolare da queste parti noto come “castello“, realizzato con grossi massi di pietra arenaria con su incise lettere dell’alfabeto greco che provenivano dalle antiche mura di cinta.

Raggiunta l’area panoramica del paese si può godere di una vista davvero emozionante su tutto il paesaggio circostante.

In località Toppo Sant’Antonio, si può visitare il sorprendente Archeoparco del Basileus, ideato sul luogo in cui sono stati ritrovati parecchi reperti archeologici, come la tomba di un “basileus”, re dei “Peuketiantes”.

L’ARCHEOPARCO DEL BASILEUS

Si estende su un’area sede di numerosi ritrovamenti, tra cui la tomba del Basileus, un re dei Peuketiantes che proprio qui, 2.500 anni fa, visse e fu sepolto con le armi e i simboli del potere.

Il Parco è una “porta d’ingresso” per un viaggio nella storia e nel mito dell’archeologia lucana e si svolge in estate lungo postazioni scenografiche, in un percorso emozionale e trasversale nel tempo. Con l’obiettivo di divertire e semplificare le capacità di apprendimento soprattutto dei più giovani, attraverso oggetti, contesti e giochi fornisce uno spaccato della Basilicata compreso tra il VI e il IV secolo a.C.

All’interno dell’Archeoparco è stato creato anche l’ArcheoLab, il centro di interpretazione archeologica, suddiviso in tre sale multimediali, in cui i ragazzi possono approfondire la conoscenza dell’archeologia lucana e di Baragiano, per mettersi poi alla prova con un gioco-quiz finale di verifica. Di grande interesse sono anche Archeotour e Archeogame.

Il primo è l’innovativo sistema di guida turistica virtuale che, grazie alla rete Wi-Fi del comune, utilizza i QR Code per offrire, attraverso video, audio, immagini e testi, le informazioni su monumenti e luoghi di interesse storico e artistico che possano attirare i turisti. Archeogame, invece, consiste in una caccia al tesoro attraverso i luoghi del centro storico di Baragiano alla scoperta della cultura, della storia e delle tradizioni locali.

Le tradizioni e i sapori della civiltà contadina sono ancora molto vivi in questa cittadina della Basilicata e conservano ancora l’antica genuina semplicità.

Gioia del palato sono gli insaccati. Spesso associato alle verdure cotte è il “pezzente“, una varietà di salsiccia, ma da assaggiare è sicuramente anche la soppressata ancora più stuzzicante con l’aggiunta di peperoncino.

Fiore all’occhiello sono anche i formaggi, i caciocavalli e il pecorino, tra tutti, quest’ultimo può essere consumato sia fresco come formaggio da tavola o, dopo la stagionatura, grattugiato sulla pasta fatta in casa come cavatelli, fusilli e strascinati. Molto utilizzati sono i prodotti da forno, come i taralli proposti in più varietà: al pepe, al finocchio, all’anice e al peperoncino.

Per la posizione geografica, nel cuore dell’area del Marmo Melandro, Baragiano offre paesaggi in cui la vegetazione ha un ruolo dominante.

Nel bosco comunale primeggiano la roverella e il cerro, ma anche esemplari di carpino nero e carpino bianco. Tra il verde del sottobosco, quando la primavera sta per cedere il passo all’estate, si cominciano a vedere i primi frutti come le fragoline mentre, in autunno, spuntano distese di ciclamini, né è raro notare la presenza di funghi e piante di pungitopo. In questi ambienti si aggirano animali selvatici, come la volpe, il riccio, il cinghiale, e non mancano rapaci, quali il gufo, la poiana, il nibbio, la cornacchia nera, il colombaccio.

Se si raggiunge la chiesa dell’Immacolata Concezione, basta porsi alle spalle dell’edificio dove si sporgono vere e proprie terrazze panoramiche da cui si può scorgere la bellezza di panorami ampi e suggestivi dell’area che circonda Baragiano. Da qui è possibile scorgere uno scenario naturale che dà sugli altri paesi del Marmo Melandro: da Muro Lucano a Castelgrande, fino a Bella, Avigliano, Ruoti. Ci si sente avvolti così da tutti i colori della vallata perdendo lo sguardo sulle catene montuose che dividono la Basilicata dalla Campania.

Baragiano custodisce diversi luoghi di culto a loro volta custodi opere ed elementi sacri di valore.

La chiesa madre di Santa Maria Assunta, di origine rinascimentale, ha subito diverse ristrutturazioni nel corso del tempo. La sua facciata, per quanto semplice, è arricchita da tre stele in pietra, mentre all’interno si possono ammirare la statua dell’Assunta, un crocifisso ligneo del XVII-XVIII secolo, e una bella acquasantiera su un basamento in pietra. Interessante è poi la statua lignea della Madonna del Carmine del XVI secolo.

Al centro della devozione dei baragianesi si pone la cappella dell’Annunziata, vera e propria meta di pellegrinaggio. D’impatto è il soffitto a capriate e, una volta entrati, si resta estasiati dal gruppo statuario dedicato alla Annunciazione incastonato in una cornice lignea fastosamente lavorata a foglie, fiori e frutta in stile barocco: si riconoscono la Madonna in atteggiamento di devozione, l’Arcangelo Gabriele e lo Spirito Santo rappresentato sotto la forma di una colomba.

Da non perdere anche la cappella di San Rocco, del XVI secolo, la cui facciata è composta da un timpano a parapetto e un campanile a vela. La sala è rettangolare e congiunta al presbiterio attraverso un arco centrale. Un dossale in muratura, con applicazioni in oro di gusto neo-classico, poggia sull’abside. L’altare basilicale è in pietra di Pescopagano.


Bella

Nel cuore del Marmo Platano Melandro sorge il comune di Bella, circondato da una natura incontaminata nella quale si distingue, da qualunque prospettiva, il castello aragonese attorno al quale si raggruppano le case colorate del nucleo abitato.

Il paese sorprende il visitatore anche per i diversi ritrovamenti di insediamenti molto antichi e la presenza di testimonianze artistiche di notevole interesse. Meritevoli di essere visitate sono la chiesa madre dell’Assunta e quella di Santa Maria delle Grazie, risalente al ‘500, al cui interno si possono ammirare pregevoli opere firmate anche di Giovanni Todisco.

Il piccolo comune di Bella ha origini assai remote e per alcuni sarebbe stato edificato sulle rovine di Numistrone, antica città lucana distrutta nella battaglia combattuta tra Annibale e Marcello (210 a.C.).

Nel corso dei secoli il paese viene interessato da numerose dominazioni straniere, documentate da sepolcri e monete, oltre agli arabi, Bella subisce le invasioni anche degli svevi e dei normanni.

Tra le fasi storiche davvero salienti senz’altro si può ricordare il ruolo importante assolto dal comune del Potentino durante i moti rivoluzionati del 1799 e, in modo particolare nel 1861, quando i bellesi, arroccati nel castello, riescono, seppur in parte, a resistere alla sopraffazione delle bande del brigante lucane Carmine Crocco.

Nel cuore del suo centro abitato, di origine prenormanna, Bella annovera un patrimonio architettonico e artistico di elevato valore.

Oltre alla cinquecentesca chiesa madre dedicata alla Madonna delle Grazie, dagli splendidi affreschi, svetta l’imponente  castello aragonese, risalente all’anno Mille, completato nel 1567 e danneggiato dal terremoto del 1694. Un audace restauro gli ha conferito l’attuale aspetto che colpisce e incuriosisce chiunque lo osservi.

Affacciandosi dal bastione si può ammirare una suggestiva vista sui lussureggianti boschi del circondario. Del maniero sono ancora visibili due delle tre torri originarie, oltre al portale e a un arco in stile romanico. Diversi edifici attraversano l’abitato con portali databili tra ‘600 e ‘700.

Un evento di straordinario interesse culturale è riconosciuto ormai nel “Bella Basilicata Film Festival” che ogni anno propone un tema diverso trattato in convegni, mostre, concerti e dibattiti sul cinema, con il coinvolgimento di volti noti dello spettacolo e del giornalismo nazionale e internazionale.

C’è un elemento che non può mancare sulle tavole bellesi, oltre al pane, si tratta della pasta fresca fata in casa dalle mani sapienti delle donne del paese.

Dagli strascinati ai fusilli, dalle lagane ai cavatelli, fino alle orecchiette e alle manate e per ogni forma un condimento saporito che non delude i commensali.

Ottimi anche i formaggi podolici e i salumi, e poi anche i funghi e i tartufi, tra questi si distinguono due tipologie: il “bianchetto”, dalla forma arrotondata e con la polpa di color nocciola, e il più diffuso “scorzone nero”.

Bella resta impressa nella mente e nel cuore del visitatore anche per i suoi meravigliosi boschi patrimonio ambientale, naturalistico e storico un’opportunità unica per immergersi nell’anima di questo pezzo di Basilicata.

Il bosco di Santa Croce, in località “Acqua di Faggio”, è sicuramente uno dei luoghi verdi in cui ci si perde per la bellezza e la purezza, ma anche per il valore evocativo, dal momento che proprio qui, un tempo, si sono mossi i briganti guidati dal lucano Carmine Crocco. Il bosco Santa Croce offre l’opportunità di vivere momenti di totale relax presso le ben attrezzare aree ristoro, magari dopo aver intrapreso impegnative ma entusiasmanti escursioni. I boschi di Bella sono infatti spesso scelti come mete dai turisti che amano perdersi nella natura inoltrandosi fino a raggiungere la cima del monte Santa Croce dalla cui cima si può ammirare un panorama splendido. Non meno affascinante dal punto di vista naturalistico è raggiungere le fonti di acque minerali sulfuree che si trovano in località San Cataldo di Bella.

Due gioielli sacri compongono il prezioso patrimonio religioso del comune di Bella e vale la pena visitarli: la chiesa madre dedicata all’Assunta e la piccola chiesa di Santa Maria delle Grazie.

Molto antica, la chiesa madre è dotata di dieci altari e quattro campane, una delle quali di notevoli dimensioni, tutte fuse nel XIX secolo. Il tempio custodisce una pregevole statua lignea di San Giuseppe, scolpita nel XVII secolo, una bella croce d’argento minuziosamente scolpita, due dipinti su tela, raffiguranti l’Assunta e una Madonna fra i Santi. La chiesa è anche dimora delle reliquie di san Pio martire, glorioso difensore della cristianità divenuto il secondo Patrono di Bella dopo san Giuseppe. Nel campanile è visibile un orologio a quattro quadranti.

Sull’omonima piazzetta affaccia la piccola chiesa di Santa Maria delle Grazie, in cui sono conservati, sull’altare maggiore, il polittico attribuito ad Andrea da Salerno e risalente all’inizio del XVI secolo, e, sul primo altare a destra, un affresco frammentario di Giovanni Todisco.

Bella resta impressa nella mente e nel cuore del visitatore anche per i suoi meravigliosi boschi patrimonio ambientale, naturalistico e storico un’opportunità unica per immergersi nell’anima di questo pezzo di Basilicata.

Il bosco di Santa Croce, in località “Acqua di Faggio”, è sicuramente uno dei luoghi verdi in cui ci si perde per la bellezza e la purezza, ma anche per il valore evocativo, dal momento che proprio qui, un tempo, si sono mossi i briganti guidati dal lucano Carmine Crocco.

Il bosco Santa Croce offre l’opportunità di vivere momenti di totale relax presso le ben attrezzare aree ristoro, magari dopo aver intrapreso impegnative ma entusiasmanti escursioni. I boschi di Bella sono infatti spesso scelti come mete dai turisti che amano perdersi nella natura inoltrandosi fino a raggiungere la cima del monte Santa Croce dalla cui cima si può ammirare un panorama splendido.

Non meno affascinante dal punto di vista naturalistico è raggiungere le fonti di acque minerali sulfuree che si trovano in località San Cataldo di Bella.

In diversi punti del territorio di Bella scavi archeologici hanno portato alla luce reperti e oggetti antichi utili a desumere le origini del paese.

Nella frazione di Sant’Antonio Casalini, sono stati rinvenuti resti di ambienti medioevali utilizzati come luogo di sepoltura individuale e collettiva senza corredo, oltre a strutture sepolcrali.

Le testimonianze della civiltà romana trovate nel territorio sono davvero tante, in contrada Pietrascritta, ad esempio, sono state rinvenute stele funerarie latine con iscrizioni, mentre nel centro distrutto di Santa Sofia, sono stati ritrovati numerosi frammenti di vasi e tracce di mura romane.


Avigliano

Architetture di epoche diverse caratterizzano il centro storico di questo vivacissimo paese della provincia di Potenza, calato in una cornice di paesaggi e scorci suggestivi.

Un dialetto dal suono inconfondibile e caratteristico, sapori unici, come quello del noto Baccalà, la cordialità della popolazione conquistano il visitatore che per la prima volta raggiunge i luoghi in cui è nato il giurista Emanuele Gianturco (1857-1907), cui è dedicata la piazza principale.

E proprio qui, tra antiche fontane, palazzi settecenteschi (Palomba e Doria) e ottocenteschi (Labella) spicca la porta urbana del borgo medievale, che tutti chiamano “Arco della Piazza”. A guardarla sembra quasi di rivivere gli attimi in cui, proprio in questo punto, venne esposta la salma del brigante Giuseppe Nicola Summa, noto anche come “Ninco Nanco”, ucciso nel 1864.

Nelle giornate di sole, passeggiare tra gli antichi rioni de “Il Poggio”, “Il Serritiello”, “La Lavanga”, “dietro le Rocche” consente di respirare un’atmosfera di altri tempi, sentendosi parte di una comunità attiva e intraprendente.

I primi reperti archeologici attestano che il paese esistesse già agli inizi dell’alto medioevo, secondo un’antica leggenda venne fondato dai Sanniti, conquistati dalla salubrità dell’aria e dalla sicurezza del luogo.

L’ipotesi storica più convincente colloca la nascita di Avigliano a cavallo tra la Prima Repubblica e il primo periodo dell’Impero. È sotto la dominazione normanna che il paese conosce momenti di fulgore ed è proprio in questo territorio, nella frazione di Lagopesole, che l’Imperatore Svevo Federico II, fa edificare il Castello di Lagopesole, la residenza estiva in cui spesso lo “Stupor Mundi” si rifugiava per praticare l’arte venatoria.

Si sono poi succeduti Angioini, Aragonesi e Spagnoli, fino a quando il feudo di Avigliano passa ai Doria, principi di Melfi.

Un fenomeno importante come quello del brigantaggio investe il comune di Avigliano, radicandosi in particolare nelle campagne e nei boschi della frazione di Lagopesole, dove sorgono i più importanti nuclei comandati dai lucani Carmine Crocco, di Rionero in Vulture, e Giuseppe Nicola Summa, detto Ninco Nanco, proprio di origine aviglianese. La forza manifestata dalla comunità aviglianese induce Crocco a ritirarsi, mentre alla comunità di Avigliano viene riconosciuta una “eroica resistenza”.

Oltre a visitare il vivace centro storico del paese potentino, attraversato da palazzi settecenteschi e chiuso da un arco, è d’obbligo una gita fuori porta al castello federiciano di Lagopesole, frazione di Avigliano.

Numerosi edifici storici, da Palazzo Doria a Palazzo Palomba, Corbo e Salinas si incrociano nel borgo di Avigliano, databili tra XIV, XVI e XVII secolo, tutti finemente decorati, con portali in pietra semplici o in bugnato, altri con motivi floreali.

Una volta raggiunta la piazza principale, luogo di incontro e sede di numerosi eventi culturali soprattutto in estate, è inevitabile portare la memoria indietro di qualche anno, esattamente al 1926, dove nella stessa piazza, che porta il nome di Emanuele Gianturco, il giurista e politico (1857- 1907) originario proprio di Avigliano, è stato inaugurato il Monumento bronzeo che gli aviglianesi gli hanno dedicato a dimostrazione dell’orgoglio con cui lo ricordano.

Per impreziosire oltremodo la permanenza in questo angolo di Basilicata non si può prescindere da una visita al Castello di Lagopesole, a pochi chilometri dal comune di Avigliano.

Chi raggiunge Avigliano in determinati periodi dell’anno può avere il piacere di imbattersi in uno degli straordinari eventi organizzati, come i “Quadri Plastici”, una originale forma d’arte che si ripete ogni 2 agosto. Circa settanta persone, del tutto immobili, riproducono con la posizione del corpo e l’espressone del volto una scena storica, sacra, mitologica, immaginaria o un capolavoro dell’arte figurativa.

Il 12 e il 13 agosto, poi, si rivive la magica atmosfera “Alla corte di Federico” che avvolge il castello normanno svevo e il borgo di Lagopesole, mentre “Il Palio dei Tre Feudi” ripropone la prova dell’anello e il combattimento con le armi.

Il castello di Lagopesole è il luogo in cui Federico II, Imperatore di Svevia, amava rifugiarsi per dedicarsi all’arte venatoria, una delle sue passioni, ed è stato il luogo prediletto da Manfredi, figlio dello stesso “Stupor Mundi”.

L’affascinante maniero medievale si lascia ammirare, adagiato com’è, su una collinetta che sorge sui fiumi Ofanto e Bradano e domina il borgo di Lagopesole. Il castello è un massiccio blocco rettangolare articolato su due piani e caratterizzato da due cortili, uno maggiore e uno minore, e una torre contraddistinta da una muratura bugnata nella parte superiore, tipica dell’architettura sveva.

Il cortile maggiore rimanda all’ampliamento intrapreso da Federico II (1242) sui resti delle precedenti costruzioni normanno-sveve e angioine e comprende anche una vasta cisterna e una grande cappella. E proprio la cappella, in stile romanico, distingue questo splendido maniero dagli altri attribuiti a Federico II di Svevia, essendo l’unico esempio di luogo di culto rispetto a quelli dell’epoca imperiale. Così come appare oggi, seppure restaurato negli anni novanta, il castello conserva le modifiche volute dall’intervento di Carlo I d’Angiò.

Nell’Ottocento, rifugio dei briganti capeggiati da Carmine Crocco, oggi il castello è location prediletta per prestigiose iniziative culturali, in particolare “Il Mondo di Federico II”, che grazie ad un Museo Narrante e ad una multivisione dagli effetti scenici straordinari racconta la vita di corte al tempo dell’Imperatore Svevo.

La cucina aviglianese non teme competizioni, soprattutto se a dominare sulla tavola sono due prelibatezze tipiche come il Baccalà e il Tarallo Aviglianese.

Il Baccalà, protagonista di una rinomata sagra che si svolge ogni anno nel mese di agosto, è proposto in diverse varianti. Da provare assolutamente in versione “Ciauredda”, in umido con abbondanti cipolline fresche, peperoncino, pomodoro, prezzemolo e olio extravergine di oliva, o con i croccanti Peperoni “cruschi” di Senise (Igp) o, ancora, “patate e baccalaie ’nda la turtiera”, baccalà con patate ricoperte di mollica di pane in tortiera e cotti al forno.

Non mancano poi stuzzicanti portate a base di pasta fatta in casa, secondo la tradizione lucana, come i “cavatiedde” (cavatelli), con sugo di carne o con minestra. Nessuno può resistere poi al “Tarallo Aviglianese”, un fragile biscotto ricoperto da una leggera glassa di zucchero (naspro) che non si assapora altrove.

Il patrimonio religioso

Sono davvero numerose le chiese, ma anche altri luoghi di culto, disseminati lungo il paese e le contrade circostanti.

Tutti con una propria storia, un proprio stile, tutti punto di riferimento per i fedeli e i visitatori che raggiungono il paese. Meritano di essere senz’altro visitate la Basilica Pontificia di Santa Maria del Carmine, la Chiesa di Santa Maria degli Angeli (1615) e la cosiddetta chiesetta di Santa Lucia (1566), quindi la chiesa di San Vito (XVII sec.) e quella di Santa Maria de Cornu Bonu. Di interessante valore storico e architettonico sono anche i diversi monasteri come quello dei Frati Minori Riformati (1615).

Sorge nella parte più antica del paese e risale ad epoca medievale. Più volte ristrutturata è stata completata nel 1854.

La chiesa è dedicata alla Madonna del Carmine, Protettrice di Avigliano. La facciata (1854) sul lato destro presenta un campanile a quattro piani. A croce latina e a tre navate, al suo interno custodisce diverse statue in legno policromo (XVIII), oltre a elementi preziosi come la croce processionale (1880).

D’effetto è l’abside con all’interno un grande coro ligneo chiuso da un pregevole altare in marmi policromi e sovrastato dai resti di un organo settecentesco con fregi originali. Visitando la chiesa si contano ben undici altari, tutti rivestiti in marmo e risalenti alla fine dell’ottocento.

Degne di nota sono le due acquasantiere di manifattura locale ma di epoche e materiali differenti, una in marmo grigio, l’altra in marmo rosso. Diverse tele impreziosiscono il tempio, come quella enorme, tardo seicentesca, che sovrasta la parete della sacrestia, di autore ignoto, che rappresenta l’incoronazione della Madonna da parte della SS. Trinità.

Una discreta raccolta di ex voto custoditi nel santuario testimoniano la profonda devozione dei fedeli alla Beata Vergine del Carmine. Gli stessi ricoprono la Statua della Madonna in occasione dei due grandi pellegrinaggi che, in maggio, la portano verso il Sacro Monte, e in settembre, la riconducono sempre in processione in paese.

Edificato nel XIX secolo in onore della Vergine, il santuario dista circa otto chilometri da Avigliano ed è calato in un paesaggio di rara bellezza con vista sul monte Vulture e sui Laghi di Monticchio.

La sua origine è antica ed è legata alla storia e alle vicissitudini del popolo di Avigliano, secondo le quali nel 1694 una terribile carestia, prima, e un violento terremoto, poi, sconvolsero la tranquilla vita della cittadina lucana.

Gli abitanti, atterriti, trovarono riparo sulla “Montagnola”, una piccola altura poco distante dall’abitato. In quell’occasione fecero un voto alla Madonna che, se li avesse salvati, loro l’avrebbero eletta a protettrice, acquistando una statua lignea e costruendo una cappella sul luogo in cui avevano trovato rifugio. La Madonna li avrebbe ascoltati e miracolati e loro edificarono il santuario dando luogo a grandi celebrazioni in suo onore.

Da allora, ogni 16 luglio, la statua della Vergine viene portata in processione dalla Chiesa Madre del paese fino alla cappella del “Monte Carmine” e la seconda domenica di settembre, nel corso di un tragitto inverso, è ricondotta in paese, dove trascorre il periodo invernale.

Insieme all’annesso convento sono stati costruiti nel 1615 dai frati francescani dell’Ordine dei Riformati.

Senz’altro rapisce lo sguardo del visitatore la facciata in stile barocco e i tre portali decorati da stipiti lavorati a punta di diamante. Lungo le due navate sono collocate interessanti statue come quella di Santa Maria degli Angeli, oltre a numerosi altari (XVII sec.) e sculture in legno policromo (XVII e XVIII sec.).

Molto belli sono anche l’organo a canne e i diversi e pregevoli dipinti di artisti che hanno operato ad Avigliano fra il XVII e il XVIII secolo.

Il tempio è dedicato a San Vito, compatrono di Avigliano insieme alla Beata Vergine del Carmelo, dal 1895.

Non esistono notizie certe rispetto alla costruzione della chiesa dedicata a San Vito, che risalirebbe comunque al XVII secolo. Va detto che l’attuale cappella è stata edificata sulle rovine di una chiesetta più antica. Al suo interno la chiesa custodisce un quadro del 1640 attribuito al Bresciano e raffigurante la Madonna col Bambino e i Santi Vito e Lorenzo, oltre ad una scultura in legno policromato di San Vito e un altro dipinto del XVIII secolo dell’artista lucano Gian Lorenzo Cardone. Risale al 1780, inoltre, la sacrestia, i cui locali sono stati realizzati a ridosso dell’altare maggiore.

Questa chiesetta può essere ammirata sulla strada che da Avigliano conduce al comune di Ruoti, sempre nella provincia di Potenza.

È detta anche chiesa di Santa Maria delle Grazie e la sua esistenza risale al 1164. Più volte ristrutturata, al suo interno conserva diverse sculture settecentesche oltre alla statua della Madonna delle Grazie (1938). Per una serie di vicissitudini, la popolazione aviglianese è sempre stata molto devota a questa Madonna dedicandole processioni e varie manifestazioni di fede.

Negli ultimi tempi, inoltre, dopo nuovi interventi di restauro, è stato ripreso il culto in suo onore che si svolge il 1 maggio. Nell’occasione si svolge una sentita processione che conduce la statua della Vergine nella Chiesa Madre del paese, per fare ritorno nella sua chiesetta.

Risale al XVI secolo ma in origine era dedicata a Sant’Antonio Abate. Oggi conserva un pregevole ciclo di affreschi attribuiti al pittore Giovanni Todisco di Abriola.

Importante è anche il portale con su una iscrizione che rimanda all’anno di realizzazione del piccolo tempio. Finché è stata dedicata a Sant’Antonio, il 17 gennaio, in occasione della festa del Santo, vi si radunavano gli animali per la benedizione.

Oggi, ogni 13 dicembre, festa di Santa Lucia, la popolazione raggiunge la chiesetta per rendere grazie alla Santa il cui culto è legato alla protezione della vista.

Posta sul punto più alto di una collinetta, si raggiunge percorrendo un suggestivo sentiero segnato dalle quattordici stazioni in marmo della “Via Crucis”, in sostituzione delle precedenti in legno.

In questo tempietto votivo (1904), dal forte valore paesaggistico per la posizione in cui sorge, si venera il Crocifisso. La sua forma circolare, con i lati tagliati ad otto angoli, lavorati in pietra e tenuti insieme a due a due da una colonnina, rendono la chiesetta del Calvario un piccolo gioiello sacro.

Interessanti sono anche il portale e il reggi-campana, realizzati in pietra da taglio. Il visitatore viene colpito da un arazzo russo raffigurante l’Ultima Cena.


Balvano

Del centro abitato di Balvano a colpire sono le fantasiose architetture in cemento a vista con infissi bizzarri a colori forti e comignoli quasi da fiaba.

Una scelta mirata, probabilmente, a dimenticare, per quanto possibile, il clima di distruzione e dolore provocato dal terremoto del 1980.

Sull’antico borgo dominano i ruderi del castello Girasole risalente al X secolo, e quindi, nel nucleo originario, all’epoca normanna, ma successivamente ampliato e modificato.

Al di là delle congetture relative all’etimologia del nome e alle sue origini, va detto che il nucleo originario di Balvano, che si snoda intorno all’antico castello, è databile in epoca longobarda.

Diverse famiglie hanno avuto dominio sul paese, governato dalla famiglia normanna dei Balbia (o Balbano), poi da  Metteo de Chevreuse, Giorgio di Alemania e Fortebraccio di Romagna, sotto gli angioini.

In seguito il feudo fu venduto da Bernabò Caracciolo a Domenico Jovine, cui appartiene il castello normanno fino al ‘900. Tra gli avvenimenti storici più importanti relativi a Balvano va menzionato senza dubbio l’arrivo in paese (1861) di Josè Borges e dei briganti ben accolti dalla popolazione.

A dominare il centro storico di Balvano è il castello normanno, ai cui piedi si possono ammirare gli antichi edifici in cui risiedevano le famiglie gentilizie locali.

Del maniero normanno, che sorge sullo sperone di una roccia, sono visibili i resti di due torri-vedetta originarie dell’impianto primitivo. Il sisma del 1980 ha causato ingenti danni a Balvano e al suo castello, che nel corpo di fabbrica basso ha subito crolli nel prospetto, nelle volte e in parte anche nel tetto. Non è toccata sorte migliore all’edificio più alto, con mura in pietra e piani di legno e coperture a tetto.

Tra i palazzi storici spicca, in via Umberto I, lo splendido Palazzo Laspro (1750), che ha ospitato insigni personaggi come Vittorio Emanuele II, la regina Margherita, e Francesco Saverio Nitti. Il fronte principale, con balconi e finestre disposti secondo uno schema simmetrico dona alla struttura un aspetto particolarmente nobile.

Passeggiando nel centro, arrivati nel punto tra piazza Cavour e via Roma, sorge insieme ad altri edifici Palazzo Lenzi (XVII sec.) con all’interno quattordici stanze, saloni, bagni e accessori.

I balconi e le ringhiere in ferro battuto conferiscono all’architettura un’immagine molto austera ed elegante, cui influiscono anche le mura della facciata principale. Non molto distante dal centro merita di essere ammirato anche Palazzo Cecere, quasi in bilico su uno spuntone di roccia che domina contrada Galdo e la gola del torrente S. Caterina.

I profumi e i sapori della civiltà contadina sono ancora dominanti nella cucina di Balvano e ne conservano l’antica genuina semplicità.

A rimanere impressi alla mente e al palato sono gli ottimi insaccati dalle salsicce alle soppressate, oltre a capicolli e prosciutti. Non sono certo da meno i formaggi, per lo più caciocavallo e pecorino da consumare fresco o stagionato, in particolare come condimento, grattugiato sulla pasta di casa come cavatelli, fusilli e strascinati.

Il comune di Balvano è compreso nell’area denominata Melandro, dove predominano montagne impreziosite da paesaggi forestali e brulli scenari di dorsali rocciose battute dai venti e prive di vegetazione arborea, un binomio che conferiscono al contesto un fascino misterioso e attraente.

D’altronde l’area del Melandro, per la sua forte caratterizzazione rurale, offre peculiarità paesaggistiche originali e uniche che danno la sensazione di entrare a far parte della natura più autentica.

A rendere originale la realtà ambientale del Melandro è un’altra sua singolare caratterizzazione, che certo non lascia indifferentre il visitatore. Laddove infatti il paesaggio diviene brullo, sulle rocce battute dal vento spunta, ma solo in primavera, la colorata ginestra, che picchietta di giallo oro le dorsali più ripide, habitat di maestosi rapaci.

ll patrimonio artistico di Balvano vanta preziose architetture sacre custodi di opere di elevato valore che vale la pena scoprire e visitare.

Non si può descrivere la bellezza del convento di Sant’Antonio, edificato nel 1591, che comprende la chiesa e uno splendido chiostro interamente decorato da un ciclo pittorico composto da 24 lunette con storie della vita del santo francescano ad opera dei pittori lucani “Il Pietrafesa” e Girolamo Bresciano.

Per quanto ne resti in piedi ben poco, molto interessante è anche la chiesa di Santa Maria di Costantinopoli di cui si può ammirare il campanile, alcuni ambienti del convento e parte della parete sinistra della chiesa, nella quale sono stati rinvenuti resti di affreschi  databili al XVIII secolo.

Interessante è poi la chiesa madre intitolata a Santa Maria Assunta completamente distrutta dal tragico terremoto del 1980 e per questo al centro di frequenti rifacimenti.

Nella affascinante cornice in cui ricade, il Marmo-Platano-Melandro, Balvano è una delle location ideali per gli amanti delle arrampicare sulle pareti rocciose verticali più estreme, qui infatti è possibile trovare le note “falesie lucane”.

Emozioni forti scorrono così sulle pareti attrezzate di roccia prevalentemente calcarea immerse in una natura selvaggia incontaminata per arrampicate sportive entusiasmanti. Le falesie lucane, dunque anche quelle di Balvano, sono di piccola e media difficoltà, dunque tanto per principianti quanto per esperti, ma comunque raggiungibili sempre con il supporto di guide altamente competenti.


Anzi

Fino al IV secolo a. C. abitato dall’antico popolo degli Enotri, Anzi sorge alle falde del monte Siri e rientra nel Parco Nazionale dell’Appennino Lucano Val D’Agri Lagonegrese.

Una volta qui, il visitatore è rapito dalla forte suggestività dello spettacolo offerto dalle case addossate l’una all’altra e dalle sue stradine per lo più in pendenza, mentre a fare da cornice al paesaggio è un’imponente roccia.

“Autenticità” è la parola d’ordine che campeggia ad Anzi, borgo medioevale dai vicoli rimasti intatti nel tempo e con una chiara eco dal suo passato, “porta Iannomascolo”, che separava il centro storico dalle zone periferiche, abitate esclusivamente da artigiani e contadini.

Ragioni differenti ma ugualmente intriganti devono spingere a visitare questo borghetto, qui infatti si può ammirare il quarto più grande Presepe poliscenico d’Europa e poi sulla vetta del Monte Siri ha sede un Planetario Osservatorio astronomico, che incuriosisce esperti e non del settore.

Abitato sin dall’età del Ferro e poi dagli Enotri, dai Lucani e dai Romani, Anzi ha alle spalle una storia intensa e molto antica.

Con i Greci il paese diviene noto per la produzione di ceramiche, come testimoniano i reperti archeologici rinvenuti nelle numerose campagne di scavo effettuate a partire dal ‘700 e conservati presso il Museo Archeologico di Napoli e in altri musei del mondo tra i quali il British Museum di Londra.

In particolare si ricorda una lapide triangolare, la cui scritta ha dimostrato che il centro originariamente si chiamava “ANXIA” e che era una potente e ricchissima cittadina.

Roccaforte dei Longobardi, prima, e dei Normanni, poi, Anzi successivamente è passata sotto il controllo di vari signori feudali.

Non è solo una ragione che potrebbe spingere a visitare Anzi. I resti rinvenuti in seguito a scavi archeologici che parlano del suo passato, il “Presepe Poliscenico”, quarto in Europa per grandezza o il Planetario Osservatorio astronomico.

L’opera presepiale di Antonio Vitulli, esposta nella casa canonica di Anzi segue a quelle italiane di Grottaferrata (Roma) e Messina e straniera di Taragona in Spagna. Il presepe, dalla accurata fattura, è realizzato in gesso e materiali di recupero e riproduce gli scorci più belli dei paesaggi della Basilicata, dai Sassi di Matera alle Dolomiti Lucane, fino ai vicoli della stessa Anzi.

Di particolare interesse, passeggiando nel borgo sono anche i diversi edifici che si “incontrano” da Palazzo Fittipaldi – sorto sul soppresso ospizio dei certosini di Padula – al Palazzo Baronale.

Chi raggiunge la vetta del Monte Siri, alle cui falde sorge il paese, può visitare il Planetario Osservatorio astronomico, particolarmente apprezzato per le sue attività didattiche, tecniche e scientifiche che, aperto tutto l’anno, consente di scoprire i misteri dell’universo attraverso affascinanti viaggi tra le stelle, avvalendosi di un potente telescopio.

Sulla sommità del paese, inoltre, troneggiano i resti di un castello costruito nel 1091, da qui va  in scena uno spettacolo straordinario per la splendida vista sulla vallata con il Lago di Ponte Fontanelle, meglio noto come Diga della Camastra.

Semplice e genuina la cucina “anzese” si fonda sui prodotti locali proponendo piatti che sarà difficile dimenticare.

Molto buona la pasta di casa, che propone diverse varianti con una predilezione per gli sfiziosi “cavatelli a quattro dita”, che suggeriscono il metodo di preparazione, o i fusilli con il rafano. Gustosi e imperdibili sono anche i secondi piatti tra i quali spiccano il maiale con i peperoni all’aceto, una prelibatezza che lascia di stucco anche i più scettici, e il baccalà cucinato in vari modi.

Sulla sommità del paese troneggiano i resti di un castello costruito nel 1091 e da lì si può godere di una splendida vista sull’intera vallata e sul Lago di Ponte Fontanelle, meglio noto come Diga della Camastra.

Si tratta di uno stupendo lago incastonato nei boschi della montagna lucana, dove è possibile praticare la pesca di diverse specie dalle trote alle carpe ai persici reali.  L’invaso disegna una grossa ansa sul suo versante nord, nota anche come “del ponte sommerso” proprio per la presenza di un antico ponte realizzato in pietra che, durante la piena della diga viene totalmente sommerso.

Anzi ricade nello splendido scenario del Parco Nazionale dell’Appennino Lucano Val D’Agri Lagonegrese, area caratterizzata da un’eccezionale biodiversità animale che comprende nuclei di piccoli mammiferi carnivori, come la puzzola, il gatto selvatico e la lontra, oltre al lupo che è presente in buona parte del territorio dell’area verde.

Per nulla deludente è la biodiversità vegetale tra alberi, fiori e varie specie di naturali. Tutti i borghi compresi nel parco hanno storie e peculiarità sorprendenti per cultura, valori sacri, natura.

I luoghi sacri di Anzi sono scrigni preziosi di opere d’arte di valore, per questo meritano di essere visitati.

Senz’altro spicca la suggestiva chiesa di Santa Maria che, sul monte Siri, oltre a custodire i bellissimi affreschi del Todisco (XVI sec.) e a presentare un portale tardogotico (1525), offre la possibilità di ammirare un paesaggio da perdere il fiato, che spazia dalle Dolomiti Lucane al Caperrino, dalla Lata al Monte di Viggiano, dal Volturino alla Maddalena, da Rifreddo al Monte Groppa di Anzi alla Serra di Trivigno.

In paese non si può perdere invece la chiesa romanico-gotica di Santa Lucia, che conserva un’acquasantiera medievale. In piazza Dante svetta la chiesa madre di San Donato, Patrono di Anzi. Il tempio è a ordine dorico e a navata unica, con all’interno diverse statue tra cui quella di San Donato con la reliquia. Molto bella è anche la statua della Concezione.

Da non perdere sono anche la chiesa madre di San Giuliano ricostruita nell’Ottocento sulla preesistente struttura cinquecentesca e quella di Sant’Antonio, un tempo cappella del convento dei frati Minori Osservanti e dedicata alla S.S. Trinità, risalente al 1587. La chiesa, di ordine ionico sull’altare maggiore ospita la pregiatissima tela della incoronazione della Vergine tra uno stuolo di angeli osannanti, attribuita al Pietrafesa.

Di particolare valore è poi il “Presepe Poliscenico” realizzato nel 1997 da Antonio Vitulli, quarto in Europa per grandezza.

Anzi ricade in uno dei parchi più affascinanti della Basilicata, quello Nazionale dell’Appennino Lucano Val D’Agri Lagonegrese, in cui si possono praticare diverse attività all’aria aperta in ogni stagione.

Trekking e cicloturismo, ma anche passeggiate a cavallo sono le possibilità offerte all’interno dell’immenso Parco Nazionale agli amanti della natura e del divertimento che in essa può esprimere totalmente.

Sulla sommità del paese troneggiano i resti di un castello costruito nel 1091 e da lì si può godere di una splendida vista sull’intera vallata e sul Lago di Ponte Fontanelle, meglio noto come Diga della Camastra.

Si tratta di uno stupendo lago incastonato nei boschi della montagna lucana, dove è possibile praticare la pesca di diverse specie dalle trote alle carpe ai persici reali. L’invaso disegna una grossa ansa sul suo versante nord, nota anche come “del ponte sommerso” proprio per la presenza di un antico ponte realizzato in pietra che, durante la piena della diga viene totalmente sommerso.

Molto apprezzate sono anche le escursioni nei vicini boschi di Rifreddo e Sellata che fanno scoprire al visitatore un contesto ambientale incontaminato.


Abriola

Abriola

Abriola è il paese di San Valentino, Patrono degli Innamorati, composto da un insieme di strette stradine e inattesi belvedere, incastonato in un paesaggio suggestivo caratterizzato da costoni rocciosi scoscesi.

Sorge a oltre 900 metri di altitudine, da cui si godono panorami mozzafiato in un contesto naturalistico straordinario che spazia dalla cima del Monte Pierfaone (1737 metri), con i suoi boschi di cerri e faggi, alla Groppa di Anzi, fino alle cime delle Dolomiti Lucane e al Massiccio del Volturino.

Il contesto ambientale diventa particolarmente coinvolgente in inverno, quando si trasforma in un vero paradiso per gli amanti dello sci, ma riserva sorprese anche durante la bella stagione offrendo la possibilità di lasciarsi andare a passeggiate a piedi, in bicicletta o a cavallo.

Il visitatore che si aggira da queste parti percepisce subito le origini arabe del paese scolpite nei resti delle mura di cinta e nell’imponente torre quadrangolare.

Ogni anno, a febbraio, Abriola festeggia il suo Patrono, San Valentino, Protettore degli innamorati, per tradizione celebrato il giorno 14 tra sacre manifestazioni e l’accensione dei “fucanoj” allestiti nei vari quartieri di Abriola.

Per quanto le sue origini siano incerte, si può affermare che Abriola risale al VI-V secolo a.C., durante l’immigrazione sannitica.

Roccaforte araba, Abriola è occupata dai Goti, dai Saraceni, cui si deve l’edificazione dell’imponente torre quadrangolare, e dai Longobardi (907).

Nei secoli il feudo passa di casato in casato: dal 1150, quando entra a far parte della contea di Tricarico al 1519, con i Filangieri, per poi appartenere ai Caracciolo, i quali nel 1758 lo cedono ai baroni Federici di Montalbano. Nel 1809 Abriola è teatro di uno dei più efferati episodi di brigantaggio con lo sterminio della famiglia del barone Federici.

Abriola ha dato i natali a Giovanni Todisco, illustre pittore murale vissuto tra il 1500 e il 1600, e al figlio o nipote, Girolamo Todisco, infatti spesso non si ha certezza a quele dei due artisti attribuire i molti dipinti.

Camminando lungo le stradine inerpicate che attraversano il centro storico di Abriola, pian piano si può raggiungere la più alta delle tre creste su cui si adagia il paese.

Qui sorge il Palazzo Baronale, mentre ben poco resta del castello feudale.

Il visitatore di Abriola non può non visitare il museo virtuale dedicato alla valorizzazione delle opere di Giovanni e Girolamo Todisco, i due eccellenti pittori originari del comune lucano vissuti tra ‘500 e ‘600 le cui opere sono distribuite in diversi luoghi sacri dell’intera Basilicata.

Da non perdere, inoltre, sono le numerose chiese che si incrociano ad Abriola, a partire dall’interessante chiesa madre, risalente al XV secolo, la cui facciata è decorata da un bel portale in pietra a sua volta decorato dalla splendida “Porta di San Valentino”. A pochi chilometri dal paese, percorrendo suggestive seppur ripide stradine, alle pendici del monte Pierfaone, si trova il Santuario della Madonna di Monteforte, custode di meravigliosi affreschi.

Ricette antiche, semplici e genuine caratterizzano i piatti della cucina abriolana per lo più a base di pasta fresca fatta in casa e secondi di carne.

Imperdibili per forma e per sapore sono le “manate”, molto simili ad una matassa di lana tagliata a metà, spesso condite con legumi, sughi e con la mollica di pane fritta.

Tipici di Abriola sono poi i “Tumacell’”, un piatto a base di  interiora di maiale, sicuramente indicato per gli amanti dei gusti forti. Da non perdere è anche “U v’scuott ra Maronn”, biscotto tradizionalmente preparato in occasione del pellegrinaggio alla “Madonna di Monteforte”.

Abriola è un paese di montagna immerso nel Parco Nazionale dell’Appennino Lucano Val D’Agri Lagonegrese, noto per le sue spiccate bellezze naturalistiche e un insieme di spazi verdi affascinanti.

Il parco è caratterizzato anche da un’eccezionale biodiversità animale, con spazi acquatici popolati da diversi anfibi, e vegetale tra alberi, fiori e varie specie naturali, al punto che chiunque raggiunga l’area verde resta folgorato dagli incantevoli scenari ambientali che la caratterizzano.

Immerso nel Parco dell’Appennino lucano, a pochi chilometri dal Capoluogo di regione, sorge la località di Pierfaone – Sellata–Arioso che, totalmente imbiancata, nella stagione invernale offre straordinari scenari e occasioni di divertimento agli amanti degli sport sulla neve grazie alla presenza di attrezzati impianti sciistici, garantendo appassionanti escursioni e vedute mozzafiato in estate. Da non perdere la meravogliosa vista sulla “Faggeta di monte Pierfaone”. L’area è considerata un vero e proprio “paradiso” per i ricercatori di funghi e castagne.

Ad Abriola il senso del sacro coincide totalmente con la figura di San Valentino, Protettore del paese e degli Innamorati, la cui festa ricorre il 14 febbraio tra solenni celebrazioni e interessanti manifestazioni.

Al Santo è dedicata la chiesa madre, edificata nel Duecento e in parte ricostruita nel Settecento, al cui interno si trovano proprio le reliquie del Patrono.

La facciata è decorata da un bel portale in pietra con la porta bronzea di San Valentino, realizzata dall’artista lucano Antonio Masini, composta da 20 formelle raffiguranti le celebri coppie del Vecchio e del Nuovo Testamento e momenti della vita del Santo stesso.

Di spiccato valore artistico e religioso sono alcune opere custodite nel tempio, come la settecentesca scultura lignea policroma del Protettore, la tela dipinta ad olio “Donazione della stola a Sant’Idelfonso” (1622) realizzata da Giovanni De Gregorio, detto “Il Pietrafesa” e altri dipinti di straordinaria fattura.

Nella sacrestia è invece custodita la scultura in legno policromo (XIII-XIV sec.) raffigurante la Madonna di Monteforte, proveniente dall’omonimo santuario, situato a pochi chilometri da Abriola, alle pendici del monte Pierfaone. e proprio dopo pochi chilometri, attraversando strade ripide e suggestive, ci si ritrova dinnanzi al Santuario della Madonna di Monteforte, il quale custodisce affreschi di Giovanni e Girolamo Todisco e di altri pittori locali. Il più antico è il “Christo Pantocrator” (1050), posto nel catino absidale. Opere dei Todisco sono presenti anche nella meravigliosa chiesa dell’Annunziata e nell’antica chiesetta di San Gerardo.

Che il visitatore sia uno sciatore esperto o un principiante, certo è che il comprensorio Sellata-Arioso, in cui ricade il territorio di Abriola, garantisce divertimento assoluto in uno scenario incantevole.

Quando le abbondanti nevicate imbiancano il paesaggio questa località diventa meta di turisti provenienti anche da fuori regione, confermando la vocazione naturalistica del territorio lucano, in questo punto circondato da faggi secolari, a pochi chilometri da Potenza.
La stazione sciistica Sellata–Arioso è ben attrezzata e consente la pratica di ogni attività sportiva durante le vacanze invernali da trascorrere in Basilicata: dallo sci alpino allo sci di fondo, al nordic walking, alle camminate con le ciaspole nell’area pianeggiante tra la località Maddalena e la Piana del Lago. Il divertimento è assicurato anche a chi allo sci preferisce cimentarsi con bob e slittini.

La presenza di chalet, confortevoli rifugi e strutture attrezzate fanno sentire il visitatore a proprio agio non solo sulle piste, deliziandone il palato a tavola con l’ottima cucina lucana e i piatti tipici invernali.

In bicicletta o a piedi, per gruppi o famiglie, i percorsi praticabili nelle aree che circondano Abriola schiudono agli occhi del visitatore realtà ambientali uniche.

Il contesto naturale in cui il paese ricade è l’esempio di quanto versatile sia il territorio lucano e lo dimostra la località Sellata-Arioso, che, se in inverno è meta di sciatori, nella bella stagione consente di praticare lunghe passeggiate e appassionanti escursioni.

Ideale è la zona pianeggiante della Maddalena, che si estende oltre il Monte Pierfaone, a circa 1.350 metri di altitudine, accanto alla Piana del Lago, un altro straordinario luogo particolarmente frequentato da chi ama camminare nella natura più incontaminata.

Di particolare interesse può risultare l’itinerario che prevede la visita al santuario di Monteforte, meta anche di numerosi pellegrini nel corso di una processione la prima domenica di giugno e il 15 agosto.

L’area mette a disposizione dei suoi ospiti anche confortevoli spazi pic nic nei boschi di faggi e cerri alle pendici del monte Pierfaone, per assicurare riposo e ristoro.