The Nativity takes to the road
The crib in Basilicata is a message of peace and hope, that travels from the provinces of southern Italy to the cathedrals of the world. It
comes from a place where time seems to flow more slowly, reminding us in the hustle and bustle of everyday life that Christmas can be anywhere, that light returns, and that humanity can find relief from the pressures and anxieties of life in divine faith.
Like a message in a bottle tossed into the ocean of everyday life, it brings the Christian values of faith, set in the scenes of ancient Lucanian culture. The Nativity created by the artist Francesco Artese is depicted in the always surprising landscape of the Sassi of Matera, one of the oldest places in the world. The work tells the story of Lucania’s tangible and intangible heritage in a figurative journey that leads virtually from the UNESCO World Heritage rock habitat to the entire region. The message of the Gospel becomes expressive simplicity, immune from the passage of time, and revives an ancient rituality.
Your gaze loses itself in the reconstruction of alleys and neighbourhoods, and you seem to hear the echo of people’s voices, of slow but industrious life, in a space crystallised as if in an eternal wait for rebirth. A message that will be possible to “read” in New York from 8th December 2023 to 2nd February 2024 and which will be possible to “live” throughout the year, as an experience of cultural and religious travel in Basilicata.
Thanks to the Consulate General of Italy in New York and the Church of Our Lady of Pompeii for their valuable collaboration in the realisation of the initiative.
Schede di approfondimento
La statuetta raffigurante la Madonna con Gesù Bambino tra le braccia, come proteso in segno di benedizione, Regina del presepe del maestro Artese, richiama fortemente la statua bronzea, opera della scultrice olandese Daphnè Du Barry che, da settembre del 2009, ha dato nuovo risalto al Santuario della Madonna del Pollino, situato in località Mezzana di San Severino Lucano.
Il giovane viso della Madonna racconta di una bellezza, traccia eterea del soffio divino. Il Suo sguardo, dolce e deciso al tempo stesso, accompagna il Bambino stretto tra le mani e offerto al mondo.
Il movimento del corpo della Vergine è nell’atto del donare, mentre il bambino Gesù con i piedini giunti e le braccia aperte come in croce appare quasi presagire il suo destino: la crocifissione.
È un messaggio universalmente intelligibile, portatore di empatia e vicinanza tra il popolo dei fedeli, quello veicolato dalla statuetta che, vede una sapiente combinazione di gusto estetico e matrice spirituale e intimistica, tanto che sembra non rivolgersi solamente ai sensi, ma parlare all’anima.
È signum di legami, talvolta invisibili eppure tenaci, che affondano nelle radici dell’esistenza come appunto quello che lega l’uomo alla Vergine Maria.
Nel Presepe risaltano diverse rappresentazioni che raffigurano i cinti votivi, ovvero tronetti di altezza variabile fatti prevalentemente di spighe di grano, candele e fiori di carta che accompagnano o precedono le processioni e i pellegrinaggi che si svolgono in Basilicata.
Questi “castelletti tipici” vengono portati in testa da donne o uomini al seguito dei riti religiosi ed esprimono, in forma simbolica, un momento intenso di devozione e di pietà popolare. Sono quindi da considerare come voti di riconoscenza per grazia ricevuta piuttosto che meri oggetti ornamentali: un dono spirituale, un segno di gratitudine a Dio Padre.
I cinti artistici in Basilicata compaiono soprattutto in occasione delle processioni dedicate alla Madonna: in origine le composizioni votive venivano indossate prevalentemente dalle donne appartenenti alle famiglie che ne avevano curato la realizzazione, ma non mancano oggi i casi in cui sono gli uomini ad averli indosso durante le celebrazioni religiose.
I cinti sono un motivo dominante nelle processioni in onore della Madonna del Carmine di Avigliano, di Sant’Antonio e della Madonna delle Grazie a Teana, della Madonna del Pollino, della Madonna nera di Viggiano e in molti altri casi. Con i cinti si manifesta oltretutto un’identità culturale lucana che si tramanda da anni e che coinvolge ora anche i più giovani.
Nel Presepe del Maestro Franco Artese vanno in scena gli antichi riti arborei della Basilicata. Uomini e animali, da Maggio a Settembre, celebrano le antiche tradizioni di una comunità che attorno agli alberi ritrova la sua più autentica identità culturale.
Il “matrimonio dell’albero”, probabilmente il rito più conosciuto, è tipico ad Accettura, Castelmezzano, Oliveto Lucano e Pietrapertosa.
Il giorno dell’Ascensione viene abbattuto il cerro più alto e dritto (il Maggio) che, dal bosco di Montepiano, comincia il suo percorso trainato da oltre cinquanta coppie di buoi di razza podolica e giunge, in conclusione, nella Piazza di Accettura. Nel centro del paese incontra “la Cima”, l’agrifoglio proveniente dalla Foresta di Gallipoli Cognato trasportato a spalla dai giovani del posto. Il matrimonio è compiuto in un clima che è esattamente quello delle nozze, con una partecipazione collettiva e uno slancio comune che mette insieme tutti, nessuno escluso. L’innesto, l’innalzamento e la scalata del “Maggio” rappresentano il culmine della festa, nel cuore dei festeggiamenti per il Patrono San Giuliano. Il rito fortifica autorevolmente il legame della comunità con il bosco.
A Castelmezzano, borgo tra i più belli d’Italia, ha luogo U’Masc, rito in onore di Sant’Antonio da Padova che si tiene nel mese di Settembre. Il taglio del cerro, che dà inizio al rito, avviene in località Paolona mentre la cima di agrifoglio, la sposa, viene scelta in località Virgilia. Gli alberi vengono accompagnati in paese da balli, canti e degustazioni di prodotti locali che precedono lo sposalizio: un’atmosfera intensa e molto sentita dalla popolazione accompagna l’innalzamento e la scalata del Maggio da parte dei giovani audaci del posto. Il rito si conclude con l’asta dell’albero e gli immancabili fuochi pirotecnici danno l’appuntamento all’anno successivo.
Anche durante il Maggio di Oliveto Lucano si “sposano” due alberi: il Maggio, il più dritto e più alto del bosco di Gallipoli Cognato e la
Cima, folta chioma di una pianta di agrifoglio sono i due protagonisti. La festa, inserita nelle celebrazioni in onore di San Cipriano, ha antiche origini e si svolge nel mese di agosto: durante la processione dedicata al Santo Patrono giovani donne portano sulla testa a titolo devozionale le cente, i caratteristici copricapi autoprodotti con candele, nastri e fiori che vengono esibiti più per devozione che per ornamento.
Il Maggio di Pietrapertosa si svolge nel mese di giugno durante le celebrazioni in omaggio di Sant’Antonio. I “massari” attendono l’alba sorvegliando l’albero che viene condotto nel paese: la successiva “unione” con la cima avviene davanti al campanile del Convento di San Francesco. La scalata dell’albero è effettuata da un “maggiaiolo”, il quale, aggrappato ad una delle corde utilizzate per portare in piedi il Maggio, si arrampica fin sulla cima ricolma di premi, muovendosi e ballando a testa in giù al ritmo di musica.
La Sagra dell’Albero, che si svolge nel cuore del Parco Nazionale del Pollino, è anch’essa ricca di significato.
A Castelsaraceno viene selezionato il più grande dei faggi, la n’Denna, mentre la cima, detta Cunocchia, è abbattuta a colpi d’ascia. Nella piazza del paese si consuma l’antico rito dell’innesto e, dopo l’innalzamento del nuovo albero, i giovani coraggiosi del paese tentano di scalarlo per aggiudicarsi i premi posti sulla cima.
A Rotonda il rito si celebra nel matrimonio di un faggio con un abete, prelevato da un bosco di Terranova di Pollino. Religione e tradizione accompagnano gli eventi che conducono i due alberi al loro sposalizio.
L’abete, a’pit, è l’unico protagonista della festa di Terranova di Pollino: decorato con nastri, viene portato a spalla dagli uomini del paese con il supporto dei buoi. Condotto in piazza e scalato dai più tenaci, sotto la mano benedicente di Sant’Antonio da Padova, vi resta sino alla tradizionale asta.
Nelle contrade di Viggianello si consuma il matrimonio tra faggio e cerro. Il rito, accompagnato da canti e balli, si svolge in tre fasi differenti dell’anno: la prima settimana dopo Pasqua, l’ultima domenica d’agosto e la seconda domenica di settembre.
Nel Presepe realizzato dal Maestro Franco Artese vi è un ampio racconto che mette in connessione la civiltà rupestre con la cultura del vicinato, fatta di solidarietà e condivisione tra famiglie. Nella rappresentazione di Artese, infatti, sono diversi i personaggi del vicinato inseriti nell’ambiente che caratterizzava il quartiere Sassi di Matera.
Luogo comunitario degli scambi sociali, il vicinato prese vita dal raggruppamento di unità abitative: i residenti, con i loro modi di abitare hanno saputo assimilare del tutto la rudezza dell’ambiente, entrando in sintonia con esso nel tentativo di gestirne al meglio le poche risorse che offriva. Un sistema di vita leggibile in tutta la sua completezza, che peraltro si rivela in piena fusione con l’ambiente circostante.
Il vicinato, declinato attraverso tutte le sue connotazioni, da quelle linguistiche a quelle squisitamente culturali, rappresentava un collante sociale eccezionale perché emergeva come un rapporto interpersonale probabilmente ancora più forte di quello familiare. Una vera cellula urbana in cui il rapporto tra cittadini diventava consolidato e spesso si trasformava in spirito di collaborazione e in senso di appartenenza.
Un autentico rapporto di comunione e solidarietà tra abitanti dello stesso luogo che oggi gli urbanisti tentano, senza fortuna, di trasferire nelle città moderne. Dove, al contrario, vige l’isolamento del nucleo familiare ed abitativo.
Nel Presepe del Maestro Franco Artese la rappresentazione della nascita di Gesù è inserita nell’incantevole scenario delle Chiese rupestri. Gli affreschi della Chiesa rupestre di Santa Barbara, una parte del Convicinio di Sant’Antonio e un affresco della Chiesa dedicata alla Madonna delle Virtù danno vita ad una splendida combinazione artistica che ripropone in maniera inedita questo tratto distintivo del territorio materano.
Sulla sponda destra del torrente Gravina si incontra la Chiesa di Santa Barbara, considerata una delle più originali e interessanti dal punto di vista architettonico e figurativo. È una vera chiesetta-basilica bizantina e risale al periodo a cavallo tra IX e X secolo. Molto simile alle chiese rupestri della Cappadocia, presenta una sola navata e sono scanditi tutti gli spazi del culto. Al suo interno sono conservati alcuni affreschi del XIII sec. rappresentanti la Madonna con il bambino e due immagini di Santa Barbara raffigurata con la torre di bronzo in cui, secondo la leggenda, fu rinchiusa dal padre prima di subire il martirio.
Non lontano, nel rione Casalnuovo, si sviluppa il Convicinio di Sant’Antonio, un complesso di quattro chiese (Cripta delle Tempe cadute, Cripta di Sant’Eligio, Cripta di San Donato e Cripta di Sant’Antonio Abate) a cui si accede a un bel portale con arco decorato.
Interamente scavata nel masso su cui si sviluppa la Civita è la Chiesa della Madonna delle Virtù che presenta tre navate absidate e di cui rimangono tre affreschi raffiguranti una Crocifissione del XVI sec. (navata centrale), San Leonardo (abside sinistra) e una Crocifissione del XIV sec. (navata destra).
Tra gli insediamenti rupestri più importanti vi è la Cripta del Peccato Originale, luogo sacro ed antichissimo. Considerata la Cappella Sistina della pittura parietale rupestre per i pregevoli affreschi di stile longobardo-benedettino presenti al suo interno, la Cripta è situata lungo l’Appia antica a una decina di chilometri dalla Città dei Sassi e rappresenta una delle maggiori testimonianze dell’arte rupestre nell’Italia meridionale. È indicata anche come “Grotta dei Cento Santi” per i numerosi Santi raffigurati sulle pareti che rivelano chiaramente il fascino di una religiosità del tutto immutata, ancora oggi. La scoperta di questo luogo si verifica solamente nel 1963: l’attenzione degli studiosi è dovuta alla presenza, sulle pareti rocciose del luogo di culto, di 41 metri quadri di affreschi risalenti al periodo longobardo che documentano fedelmente gli episodi più rilevanti della storia del creato e dell’uomo.
Il Parco Regionale Archeologico Storico Naturale delle Chiese Rupestri del Materano, noto anche come Parco della Murgia, rappresenta un fantastico scrigno di bellezze tra arte, natura e archeologia. Il Parco conta oltre 150 esempi di chiese in rupe, affrescate o a bassorilievo, che costituiscono un patrimonio inestimabile d’arte sacra che documenta tutte le stagioni storiche e culturali del territorio.
Tra le altre chiese ipogee la Madonna delle Croci, San Nicola all’Ofra, San Vito, la Madonna degli Angeli, le cripte di Sant’Eustachio, Madonna di Monteverde, Madonna del Giglio, Madonna della Loe.
Il Parco delle Chiese Rupestri, assieme ai Sassi di Matera, rientra nel Sito Patrimonio Mondiale dell’UNESCO dal 1993.
Nel Presepe è presente la musica lucana. Legata ai cicli della vita e delle stagioni, al sacro e al profano, ha origini ataviche e popolari. Liberatoria, evocativa, espressione di gioia estrema o acuta sofferenza, da sempre dà voce alla composita anima della Basilicata e vive nei versi di poeti quali Orazio, Sinisgalli, Scotellaro, Pierro.
Le scene riprodotte nel Presepe rivelano una forte singolarità musicale che interessa da sempre le aree agricole e i centri urbani della Basilicata: le matinate a Matera, il ballo delle cente a Viggiano, la Taranta a Tricarico, il rito greco-bizantino interamente cantato nei centri arberëshe della Val Sarmento sono solo alcuni esempi della tradizione lucana.
Molto partecipate e con una cospicua presenza di musicisti sono poi i pellegrinaggi ai santuari mariani, da quello di Viggiano e del Pollino a quello del Carmine ad Avigliano e di Pierno a San Fele, la festa della Madonna della Bruna di Matera, i riti della Settimana Santa nel Vulture-Melfese, le celebrazioni in onore di santi, tra cui dominano numericamente quelle di S. Rocco e S. Antonio da Padova. Manifestazioni che abbracciano l’intera regione e costituiscono un vero e proprio circuito devozionale-musicale. I suoni della festa del Maggio di Accettura sono costituiti da esecuzioni di flauti e percussioni spesso di provenienza pugliese (bassa musica o bassa banda) e da libero intervento di organetti e zampogne.
E dalla tradizione vengono molti strumenti musicali costruiti artigianalmente da pastori e contadini, sin dal ‘500. A questi si affiancarono, nel XVII sec, gli organi a mantice dalle casse dipinte e intagliate, veicolo di musica colta nelle celebrazioni liturgiche. La ciaramella e l’organetto di numerosi borghi lucani, la surdulina del Pollino, il tamburello, l’arpa di Viggiano, le traccole e la cupa cupa. Strumenti per la cui realizzazione è necessaria grande abilità e, soprattutto per realizzare zampogne e ciaramelle, anche una specifica attrezzatura composta da tornio e alesatoi.
Meno complicata è la costruzione delle surduline, spesso lavorate a coltello, e quella dei tamburelli, per i quali ci si serviva tra l’altro dei cerchi dei setacci e di pelli da capra. Il cupa cupa, sia fatto di membrana di pelle animale sia di stoffa, era frutto di lavoro domestico. L’organetto, diffuso soprattutto nella Basilicata nord occidentale, viene di consueto acquistato durante fiere e pellegrinaggi.
Importanti testimonial caratterizzano il panorama musicale italiano. A partire dal grande madrigalista, Gesualdo da Venosa, ottavo conte di Conza e terzo principe di Venosa, virtuoso del cromatismo, un procedimento fatto di urti e dissonanze. E’ una figura che ha affascinato non solo grandi compositori ma anche scrittori e registi e a lui è dedicato il Conservatorio di musica del capoluogo lucano.
La sua “violenza melodica”, come l’ha definita il critico musicale Guido Pannain, si riduce sovente a una ricercatezza d’effetti fonici manifesta nei sei libri di madrigali composti da un uomo aristocratico colto ma irrequieto, assassino di sua moglie e del suo amante. Noto sempre per madrigali è Marcantonio Mazzone, musicista apprezzato a Napoli, Salerno, Venezia e Mantova dove fu al servizio di Vincenzo I Gonzaga. E degni di menzione sono inoltre: Giovanni Maria Trabaci, compositore, organista e maestro della reale Cappella di Napoli, che compose 169 opere di musica sacra e 165 per strumenti vari; Egidio Romualdo Duni di cui porta il nome il conservatorio della città dei Sassi. Duni compose 23 opere e la sua spiccata passione per il teatro lo portò fino a Parigi dove divenne direttore della Commedie Italienne e iniziatore dell’opera-comique. Anche il padre del canto gregoriano, Giovanni Obadiah, ha origini lucane e il teatro della sua città natale, Oppido Lucano, è a lui dedicato.
Il maestro Vincenzo Velardita nasce e si forma nella barocca Caltagirone e ivi, nel 1985, apre il suo laboratorio. La sua opera si ispira alla illustre tradizione dei figurinai caltagironesi dell’Ottocento, Bongiovanni e Vaccaro; oltre a gruppi e soggetti presepistici, i suoi temi più cari si rifanno a momenti di vita contadina, episodi storici e mitologici. Nelle mani del maestro l’argilla si trasforma e dà forma a uomini e donne della storia sacra, del mito precristiano, di un tempo appena passato; altre volte si piega a comunicare lo stupore per la bellezza e il mistero del corpo femminile, o della forza dell’amore tra uomo e donna e del suo riflettersi nel volto dei figli. Velardita ha realizzato le statuette del presepe esposto quest’anno a Torino personaggi modellati dalle mani esperte che popolano il presepe, le scene bibliche, mitologiche e quelle che fanno rivivere la vita sociale e familiare di un tempo appena passato.