Architetture di epoche diverse caratterizzano il centro storico di questo vivacissimo paese della provincia di Potenza, calato in una cornice di paesaggi e scorci suggestivi.

Un dialetto dal suono inconfondibile e caratteristico, sapori unici, come quello del noto Baccalà, la cordialità della popolazione conquistano il visitatore che per la prima volta raggiunge i luoghi in cui è nato il giurista Emanuele Gianturco (1857-1907), cui è dedicata la piazza principale.

E proprio qui, tra antiche fontane, palazzi settecenteschi (Palomba e Doria) e ottocenteschi (Labella) spicca la porta urbana del borgo medievale, che tutti chiamano “Arco della Piazza”. A guardarla sembra quasi di rivivere gli attimi in cui, proprio in questo punto, venne esposta la salma del brigante Giuseppe Nicola Summa, noto anche come “Ninco Nanco”, ucciso nel 1864.

Nelle giornate di sole, passeggiare tra gli antichi rioni de “Il Poggio”, “Il Serritiello”, “La Lavanga”, “dietro le Rocche” consente di respirare un’atmosfera di altri tempi, sentendosi parte di una comunità attiva e intraprendente.

I primi reperti archeologici attestano che il paese esistesse già agli inizi dell’alto medioevo, secondo un’antica leggenda venne fondato dai Sanniti, conquistati dalla salubrità dell’aria e dalla sicurezza del luogo.

L’ipotesi storica più convincente colloca la nascita di Avigliano a cavallo tra la Prima Repubblica e il primo periodo dell’Impero. È sotto la dominazione normanna che il paese conosce momenti di fulgore ed è proprio in questo territorio, nella frazione di Lagopesole, che l’Imperatore Svevo Federico II, fa edificare il Castello di Lagopesole, la residenza estiva in cui spesso lo “Stupor Mundi” si rifugiava per praticare l’arte venatoria.

Si sono poi succeduti Angioini, Aragonesi e Spagnoli, fino a quando il feudo di Avigliano passa ai Doria, principi di Melfi.

Un fenomeno importante come quello del brigantaggio investe il comune di Avigliano, radicandosi in particolare nelle campagne e nei boschi della frazione di Lagopesole, dove sorgono i più importanti nuclei comandati dai lucani Carmine Crocco, di Rionero in Vulture, e Giuseppe Nicola Summa, detto Ninco Nanco, proprio di origine aviglianese. La forza manifestata dalla comunità aviglianese induce Crocco a ritirarsi, mentre alla comunità di Avigliano viene riconosciuta una “eroica resistenza”.

Oltre a visitare il vivace centro storico del paese potentino, attraversato da palazzi settecenteschi e chiuso da un arco, è d’obbligo una gita fuori porta al castello federiciano di Lagopesole, frazione di Avigliano.

Numerosi edifici storici, da Palazzo Doria a Palazzo Palomba, Corbo e Salinas si incrociano nel borgo di Avigliano, databili tra XIV, XVI e XVII secolo, tutti finemente decorati, con portali in pietra semplici o in bugnato, altri con motivi floreali.

Una volta raggiunta la piazza principale, luogo di incontro e sede di numerosi eventi culturali soprattutto in estate, è inevitabile portare la memoria indietro di qualche anno, esattamente al 1926, dove nella stessa piazza, che porta il nome di Emanuele Gianturco, il giurista e politico (1857- 1907) originario proprio di Avigliano, è stato inaugurato il Monumento bronzeo che gli aviglianesi gli hanno dedicato a dimostrazione dell’orgoglio con cui lo ricordano.

Per impreziosire oltremodo la permanenza in questo angolo di Basilicata non si può prescindere da una visita al Castello di Lagopesole, a pochi chilometri dal comune di Avigliano.

Chi raggiunge Avigliano in determinati periodi dell’anno può avere il piacere di imbattersi in uno degli straordinari eventi organizzati, come i “Quadri Plastici”, una originale forma d’arte che si ripete ogni 2 agosto. Circa settanta persone, del tutto immobili, riproducono con la posizione del corpo e l’espressone del volto una scena storica, sacra, mitologica, immaginaria o un capolavoro dell’arte figurativa.

Il 12 e il 13 agosto, poi, si rivive la magica atmosfera “Alla corte di Federico” che avvolge il castello normanno svevo e il borgo di Lagopesole, mentre “Il Palio dei Tre Feudi” ripropone la prova dell’anello e il combattimento con le armi.

Il castello di Lagopesole è il luogo in cui Federico II, Imperatore di Svevia, amava rifugiarsi per dedicarsi all’arte venatoria, una delle sue passioni, ed è stato il luogo prediletto da Manfredi, figlio dello stesso “Stupor Mundi”.

L’affascinante maniero medievale si lascia ammirare, adagiato com’è, su una collinetta che sorge sui fiumi Ofanto e Bradano e domina il borgo di Lagopesole. Il castello è un massiccio blocco rettangolare articolato su due piani e caratterizzato da due cortili, uno maggiore e uno minore, e una torre contraddistinta da una muratura bugnata nella parte superiore, tipica dell’architettura sveva.

Il cortile maggiore rimanda all’ampliamento intrapreso da Federico II (1242) sui resti delle precedenti costruzioni normanno-sveve e angioine e comprende anche una vasta cisterna e una grande cappella. E proprio la cappella, in stile romanico, distingue questo splendido maniero dagli altri attribuiti a Federico II di Svevia, essendo l’unico esempio di luogo di culto rispetto a quelli dell’epoca imperiale. Così come appare oggi, seppure restaurato negli anni novanta, il castello conserva le modifiche volute dall’intervento di Carlo I d’Angiò.

Nell’Ottocento, rifugio dei briganti capeggiati da Carmine Crocco, oggi il castello è location prediletta per prestigiose iniziative culturali, in particolare “Il Mondo di Federico II”, che grazie ad un Museo Narrante e ad una multivisione dagli effetti scenici straordinari racconta la vita di corte al tempo dell’Imperatore Svevo.

La cucina aviglianese non teme competizioni, soprattutto se a dominare sulla tavola sono due prelibatezze tipiche come il Baccalà e il Tarallo Aviglianese.

Il Baccalà, protagonista di una rinomata sagra che si svolge ogni anno nel mese di agosto, è proposto in diverse varianti. Da provare assolutamente in versione “Ciauredda”, in umido con abbondanti cipolline fresche, peperoncino, pomodoro, prezzemolo e olio extravergine di oliva, o con i croccanti Peperoni “cruschi” di Senise (Igp) o, ancora, “patate e baccalaie ’nda la turtiera”, baccalà con patate ricoperte di mollica di pane in tortiera e cotti al forno.

Non mancano poi stuzzicanti portate a base di pasta fatta in casa, secondo la tradizione lucana, come i “cavatiedde” (cavatelli), con sugo di carne o con minestra. Nessuno può resistere poi al “Tarallo Aviglianese”, un fragile biscotto ricoperto da una leggera glassa di zucchero (naspro) che non si assapora altrove.

Il patrimonio religioso

Sono davvero numerose le chiese, ma anche altri luoghi di culto, disseminati lungo il paese e le contrade circostanti.

Tutti con una propria storia, un proprio stile, tutti punto di riferimento per i fedeli e i visitatori che raggiungono il paese. Meritano di essere senz’altro visitate la Basilica Pontificia di Santa Maria del Carmine, la Chiesa di Santa Maria degli Angeli (1615) e la cosiddetta chiesetta di Santa Lucia (1566), quindi la chiesa di San Vito (XVII sec.) e quella di Santa Maria de Cornu Bonu. Di interessante valore storico e architettonico sono anche i diversi monasteri come quello dei Frati Minori Riformati (1615).

Sorge nella parte più antica del paese e risale ad epoca medievale. Più volte ristrutturata è stata completata nel 1854.

La chiesa è dedicata alla Madonna del Carmine, Protettrice di Avigliano. La facciata (1854) sul lato destro presenta un campanile a quattro piani. A croce latina e a tre navate, al suo interno custodisce diverse statue in legno policromo (XVIII), oltre a elementi preziosi come la croce processionale (1880).

D’effetto è l’abside con all’interno un grande coro ligneo chiuso da un pregevole altare in marmi policromi e sovrastato dai resti di un organo settecentesco con fregi originali. Visitando la chiesa si contano ben undici altari, tutti rivestiti in marmo e risalenti alla fine dell’ottocento.

Degne di nota sono le due acquasantiere di manifattura locale ma di epoche e materiali differenti, una in marmo grigio, l’altra in marmo rosso. Diverse tele impreziosiscono il tempio, come quella enorme, tardo seicentesca, che sovrasta la parete della sacrestia, di autore ignoto, che rappresenta l’incoronazione della Madonna da parte della SS. Trinità.

Una discreta raccolta di ex voto custoditi nel santuario testimoniano la profonda devozione dei fedeli alla Beata Vergine del Carmine. Gli stessi ricoprono la Statua della Madonna in occasione dei due grandi pellegrinaggi che, in maggio, la portano verso il Sacro Monte, e in settembre, la riconducono sempre in processione in paese.

Edificato nel XIX secolo in onore della Vergine, il santuario dista circa otto chilometri da Avigliano ed è calato in un paesaggio di rara bellezza con vista sul monte Vulture e sui Laghi di Monticchio.

La sua origine è antica ed è legata alla storia e alle vicissitudini del popolo di Avigliano, secondo le quali nel 1694 una terribile carestia, prima, e un violento terremoto, poi, sconvolsero la tranquilla vita della cittadina lucana.

Gli abitanti, atterriti, trovarono riparo sulla “Montagnola”, una piccola altura poco distante dall’abitato. In quell’occasione fecero un voto alla Madonna che, se li avesse salvati, loro l’avrebbero eletta a protettrice, acquistando una statua lignea e costruendo una cappella sul luogo in cui avevano trovato rifugio. La Madonna li avrebbe ascoltati e miracolati e loro edificarono il santuario dando luogo a grandi celebrazioni in suo onore.

Da allora, ogni 16 luglio, la statua della Vergine viene portata in processione dalla Chiesa Madre del paese fino alla cappella del “Monte Carmine” e la seconda domenica di settembre, nel corso di un tragitto inverso, è ricondotta in paese, dove trascorre il periodo invernale.

Insieme all’annesso convento sono stati costruiti nel 1615 dai frati francescani dell’Ordine dei Riformati.

Senz’altro rapisce lo sguardo del visitatore la facciata in stile barocco e i tre portali decorati da stipiti lavorati a punta di diamante. Lungo le due navate sono collocate interessanti statue come quella di Santa Maria degli Angeli, oltre a numerosi altari (XVII sec.) e sculture in legno policromo (XVII e XVIII sec.).

Molto belli sono anche l’organo a canne e i diversi e pregevoli dipinti di artisti che hanno operato ad Avigliano fra il XVII e il XVIII secolo.

Il tempio è dedicato a San Vito, compatrono di Avigliano insieme alla Beata Vergine del Carmelo, dal 1895.

Non esistono notizie certe rispetto alla costruzione della chiesa dedicata a San Vito, che risalirebbe comunque al XVII secolo. Va detto che l’attuale cappella è stata edificata sulle rovine di una chiesetta più antica. Al suo interno la chiesa custodisce un quadro del 1640 attribuito al Bresciano e raffigurante la Madonna col Bambino e i Santi Vito e Lorenzo, oltre ad una scultura in legno policromato di San Vito e un altro dipinto del XVIII secolo dell’artista lucano Gian Lorenzo Cardone. Risale al 1780, inoltre, la sacrestia, i cui locali sono stati realizzati a ridosso dell’altare maggiore.

Questa chiesetta può essere ammirata sulla strada che da Avigliano conduce al comune di Ruoti, sempre nella provincia di Potenza.

È detta anche chiesa di Santa Maria delle Grazie e la sua esistenza risale al 1164. Più volte ristrutturata, al suo interno conserva diverse sculture settecentesche oltre alla statua della Madonna delle Grazie (1938). Per una serie di vicissitudini, la popolazione aviglianese è sempre stata molto devota a questa Madonna dedicandole processioni e varie manifestazioni di fede.

Negli ultimi tempi, inoltre, dopo nuovi interventi di restauro, è stato ripreso il culto in suo onore che si svolge il 1 maggio. Nell’occasione si svolge una sentita processione che conduce la statua della Vergine nella Chiesa Madre del paese, per fare ritorno nella sua chiesetta.

Risale al XVI secolo ma in origine era dedicata a Sant’Antonio Abate. Oggi conserva un pregevole ciclo di affreschi attribuiti al pittore Giovanni Todisco di Abriola.

Importante è anche il portale con su una iscrizione che rimanda all’anno di realizzazione del piccolo tempio. Finché è stata dedicata a Sant’Antonio, il 17 gennaio, in occasione della festa del Santo, vi si radunavano gli animali per la benedizione.

Oggi, ogni 13 dicembre, festa di Santa Lucia, la popolazione raggiunge la chiesetta per rendere grazie alla Santa il cui culto è legato alla protezione della vista.

Posta sul punto più alto di una collinetta, si raggiunge percorrendo un suggestivo sentiero segnato dalle quattordici stazioni in marmo della “Via Crucis”, in sostituzione delle precedenti in legno.

In questo tempietto votivo (1904), dal forte valore paesaggistico per la posizione in cui sorge, si venera il Crocifisso. La sua forma circolare, con i lati tagliati ad otto angoli, lavorati in pietra e tenuti insieme a due a due da una colonnina, rendono la chiesetta del Calvario un piccolo gioiello sacro.

Interessanti sono anche il portale e il reggi-campana, realizzati in pietra da taglio. Il visitatore viene colpito da un arazzo russo raffigurante l’Ultima Cena.