Tito è un piccolo paese del Melandro, alle porte del Capoluogo di Regione, ed è uno dei borghi lucani che ricadono nel Parco Nazionale dell’Appennino Lucano Val D’Agri Lagonegrese.
Percorrendo le dolci curve che conducono al suo suggestivo centro storico nel paesaggio che circonda Tito spicca la Torre di Satriano, ciò che resta dell’antica Satrianum. Distrutta da un incendio i suoi abitanti cercarono e trovarono riparo presso i territori vicini, tra cui Tito. Oggi la torre medioevale di origine normanna è un simbolo caro alla popolazione.
Una volta in paese sulla Piazza del Seggio – presso la quale durante i moti repubblicani del 1799 è stata giustiziata l’eroina Francesca Cafarelli De Carolis – si impone alla vista il Palazzo comunale decorato da un arco durazzesco del XV secolo.
Spostandosi verso la parte alta dell’abitato, si arriva al Convento di Sant’Antonio da Padova, qui lasciano senza parole gli affreschi del chiostro incentrati sulle storie del Santo e realizzati dal pittore Giovanni De Gregorio, detto “Il Pietrafesa”, nato nella vicina Satriano di Lucania e uno dei massimi esponenti della cultura pittorica lucana tra tardo manierismo e barocco.
Una storia intensa ha segnato il passato del paese che in origine si affacciava sull’attuale zona industriale, molto florida e ricca di aziende.
Non si esclude che il nome derivi dal console romano Tito Sempronio Cracco a lungo attivo nel territorio di Tito vecchio durante la seconda guerra punica (III-II sec. a.C.). A causa della distruzione dell’antico abitato, come riportato dallo storico Tito Livio, gli abitanti si rifugiano su uno sperone nei pressi della fiumara di Tito, dove sorge l’attuale paese, conoscendo il momento di maggior popolamento a seguito della distruzione dell’antica Satrianum (1420-1430) e la conseguente fuga degli abitanti superstiti proprio a Tito.
I titesi hanno avuto un ruolo predominante durante i moti repubblicani del 1799, e di quel momento storico resta vivo il ricordo della eroina Francesca Cafarelli De Carolis, giustiziata nella piazza del Seggio.
Non meno considerevole è stato il protagonismo del paese durante la cacciata dei Borboni (1860) e l’adesione della Basilicata al Regno d’Italia.
Un particolare aspetto culturale del paese è legato alla parlata dei suoi abitanti, dalla singolare sonorità, che il filologo Gerhard Rohlfs ha individuato nel dialetto galloitalico, diffuso nell’Italia settentrionale e caratteristico di alcuni comuni della provincia di Potenza tra cui Tito.
A Tito si può visitare la biblioteca, custode del prezioso “Fondo Alianello” dedicato a Carlo Alianello (1901-1981), il “capostipite” del revisionismo del Risorgimento, nato da padre potentino e madre titese. Il Fondo comprende l’archivio del letterato, dono dello scrittore e sceneggiatore alla città materna. Oltre all’esposizione di manoscritti, opere in prosa e in poesia inedite, il Fondo custodisce quadri, autoritratti, foto, schizzi a matita e oggetti personali.
Perdendo lo sguardo sul territorio che circonda il paesino del Melandro, l’attenzione cade inevitabilmente sulla torre medioevale di Satriano.
Il sito, oggetto di numerose e proficue campagne di scavi, fino ad un determinato tratto è raggiungibile in macchina, poi è necessario procedere a piedi per ammirare i resti della torre quadrata edificata dai normanni nel XII secolo, ruderi di mura e di un’antica basilica dedicata a Santo Stefano protomartire.
La torre è quanto resta dell’antica Satrianum, roccaforte longobarda sorta su un sito dall’interessante valore archeologico che va dall’età del ferro al Medioevo.
La buona cucina è uno dei punti di forza del piccolo comune del Melandro, dove predomina la squisitezza dei formaggi, e degli ottimi salumi, prodotti in loco.
Uno dei piatti tipici è costituito dai “cavatelli”, pasta fatta in casa, come le orecchiette e i fusilli con il sugo di salsiccia, o le “laaned”, tagliatelle con fagioli o, tra i secondi, patate e baccalà e minestra di cavoli con l’osso di prosciutto. Stuzzicanti e particolarmente diffusi nella tradizione gastronomica titese sono i peperoni ripieni.
L’intraprendente comune di Tito insiste nell’area del Melandro, in provincia di Potenza, e ricade nello splendido scenario del Parco Nazionale dell’Appennino Lucano Val D’Agri Lagonegrese, il più giovane dei Parchi nazionali italiani.
Il parco è caratterizzato da un’eccezionale biodiversità animale, che comprende nuclei di piccoli mammiferi carnivori, come la puzzola e il gatto selvatico, e la lontra, oltre al lupo che è presente in buona parte del territorio dell’area verde. Non mancano negli spazi acquatici gli anfibi, con avvistamenti di ululone dal ventre giallo e salamandrina dagli occhiali.
Per nulla deludente è la biodiversità vegetale tra alberi, fiori e varie specie di naturali. Chiunque raggiunga il parco resta folgorato dagli incantevoli scenari ambientali che lo caratterizzano.
Una salutare passeggiata lungo il corso di Tito può condurre poco fuori dall’abitato, in località “Acqua Bianca”, che prende il nome dal residuo lasciato impresso sulle pietre dalle sorgenti di acque minerali, che sgorgano sin dall’antichità e dall’800 sono definite sulfuree e ferruginose.
Non molto lontano dal territorio di Tito sorge il Monte Li Foi che domina un’ampia vallata dell’area del Melandro e dell’alta valle del Basento, a ridosso del vicino comune di Picerno. Per i 900 ettari di bosco che lo attraversano, costituito soprattutto da alberi di faggio, la Società Italiana di Botanica ha censito il Monte Li Foi tra i biotipi della Basilicata.
Nella parte alta dell’abitato di Tito si può ammirare uno scrigno di arte sacra davvero suggestivo: il Convento Francescano di Sant’Antonio da Padova, a pianta quadrata, costruito nel 1514.
Lasciano senza parole i pregevoli affreschi del chiostro incentrati sulla vita del Santo realizzati dal pittore Giovanni De Gregorio, detto “Il Pietrafesa”, nato nella vicina Satriano di Lucania e uno i massimi esponenti della cultura pittorica lucana tra tardo manierismo e barocco.
Non si può non visitare anche la chiesa annessa al convento a due navate riccamente stuccate. Sulla parere del lato settentrionale la chiesa è impreziosita da un affresco, in sei quadri, raffigurante i miracoli compiuti da Sant’Antonio da Padova nel corso della sua vita. L’arte del Pietrafesa si può ammirare anche in questo tempio, attraverso un olio che rappresenta un’Immacolata (1629).
Degna di nota è anche l’antica chiesa madre dedicata a san Laviero martire, Patrono del paese, databile nel 1465. Più volte ricostruita in seguito ai crolli causati dai frequenti terremoti ma non del tutto ristrutturata, la chiesa di San Laviero presenta una facciata colorata in giallo e un tetto a capanna sul quale svetta un piccolo crocifisso.
Il portale di accesso è sormontato da un arco a tutto sesto chiuso a vetri. Al lato è conservata una delle navate dell’edificio originario che era a pianta latina.
A Tito, come a Melfi, sono state girate le scene esterne della fiction Rai (1980) “L’eredità della Priora”, in sette puntate, tratta dall’omonimo romanzo di Carlo Alianello (1901-1981), che ne è stato anche sceneggiatore, di origini titesi.
La madre del “capostipite” del revisionismo del Risorgimento, Luisa Salvia, nacque proprio nel piccolo comune alle porte di Potenza. Lo sceneggiato è ambientato principalmente in Basilicata – alcune scene sono state girate anche nella bella Melfi, città federiciana che sorge nel cuore del Vulture Melfese – durante il periodo del brigantaggio postunitario seguito alla fine del Regno delle Due Sicilie e dell’Unificazione d’Italia.
Nello straordinario scenario del Parco Nazionale dell’Appennino Lucano, in cui ricade Tito, si possono praticare diverse attività all’aria aperta in ogni stagione.
Nel perimetro del parco sono allestiti comodi spazi picnic per momenti di ristoro e relax, ma il riposo all’aria aperta è garantito anche sulle distese di verde che circondano l’area per godere della magica atmosfera che circonda l’intero spazio.
L’area del bosco si presta a diverse attività, oltre a passeggiate ed escursioni, nel corso delle quali è possibile scoprire la Fontana delle brecce, ci si può spingere fino al laghetto artificiale, luogo ideale per gli appassionati di pesca sportiva. Nel territorio circostante sono consentite anche piacevoli passeggiate a cavallo, trekking e cicloturismo.
I sentieri aperti nei borghi circostanti ben si prestano per gli amanti di mountain bike per percorsi avventurosi e unici.
Ma a Tito anche gli amanti delle due ruote e dell’equitazione possono soddisfare la propria passione grazie alla presenza di una pista omologata di quarta categoria per motocross, riconosciuta anche dalla Federazione italiana motociclistica, e alla predisposizione del territorio ad attività di trekking a cavallo.
Per coniugare natura e archeologia si può intraprendere una lunga passeggiata alla volta della torre medioevale di Satriano, sito di grande valore archeologico raggiungibile fino ad un determinato tratto in macchina. Poi infatti è necessario procedere a piedi per ammirare i resti della torre quadrata edificata dai normanni nel XII secolo, ruderi di mura e di un’antica basilica dedicata a Santo Stefano protomartire.
Per respirare aria pulita e circondarsi della natura più incontaminata, non distante da Tito sorge il Monte Li Foi, nel comune della vicina Picerno, caratterizzato da fenomeni carsici come i “karren-feld, doline e laghetti stagionali. Stradine e sentieri attraversano l’area naturale in cui è facile incontrare animali al pascolo, fino a raggiungere una estesa area picnic in cui ristorarsi e riposare dopo le intense passeggiate ideali per famiglie con bambini.
Il Monte Li Foi è anche meta di escursionisti esperti e mountain di mountain bikers a livelli avanzati.
La Torre di Satriano è quel che resta dell’antica Satrianum, secondo una leggenda distrutta da un incendio causato dalla regina Giovanna II d’Angiò di Napoli. Il sito, che rientra nel comune di Tito, ha portato alla luce straordinari reperti archeologici.
Con inizio intorno alla fine degli anni Cinquanta, le ultime campagne di scavo condotte sul sito che ricade nell’area del Melandro, oltre alla torre quadrata (forse del XII sec), hanno restituito i resti della cattedrale vescovile, che potrebbe risalire al periodo medioevale, e di alcune abitazioni.
Nel corso delle indagini archeologiche è stata recuperata, in particolare, ceramica maiolicata di produzione pugliese, databile tra il XIII e il XV secolo, momento di distruzione e di abbandono del centro medioevale. Fin dai primi scavi, comunque, è emersa un’intensa frequentazione dell’area sin dall’Età del Bronzo con una continuità di occupazione protrattasi fino al basso Medioevo.
Tra la sommità e le terrazze che circondano la collina sono state rinvenute diverse aree di sepoltura legate alla presenza di un abitato risalente al VI – V secolo a.C. Spostandosi più a valle, è emerso un santuario del periodo lucano edificato vicino ad una sorgente nel corso del IV secolo a. C.