Fino alla fine dell’Ottocento denominata Montepeloso, a Irsina convivono le sfumature dell’arte e la solennità del sacro.
Città dal forte valore storico e culturale è uno dei più antichi paesi della Basilicata e sorge sulla cima di un colle roccioso, in provincia di Matera. Il suo nome originario, Montepeloso (fino al 1895), sembra derivare dal greco plusus, “terra fertile e ricca”, poi modificato dai latini in pilosum.
Custodita tra le sue fortificazioni medioevali, l’antica Montepeloso scruta e domina le valli del Bradano e del Basentello da cui fa capolino l’antico borgo, un reticolato di costruzioni civili e religiose che si raggiungono attraversando viuzze e vicoli, ora in pianura ora in salita, e seguendo le mura di cinta che guidano alle antiche porte.
Ogni stradina è fonte di sorpresa e meraviglia perché rivela agli occhi di chi la percorre le piccole e numerose chiesette che riempiono il borgo e i palazzi storici costruiti tra il Cinquecento e il Settecento. Tutti contrassegnati da stemmi ed epigrafi. Uno dei più importanti monumenti della Basilicata è la maestosa cattedrale di Santa Maria Assunta (XIII sec.) di Irsina, un vero “museo del sacro” sia per le caratteristiche architettoniche che per le opere che ne ornano l’interno, per lo più di arte rinascimentale.
Tra tutte si impone all’attenzione di chi la osserva la statua in pietra di Nanto raffigurante Santa Eufemia, attribuita all’artista rinascimentale Andrea Mantegna.
Numerosi reperti archeologici risalenti ai periodi greco e romano testimoniano che Irsina è uno dei paesi più antichi della Basilicata.
Costruita su un territorio appartenuto a Enotri e Lucani, luogo in cui è stata ritrovata una selce, la più antica testimonianza europea realizzata dall’homo erectus, Irsina è assediata, invasa e distrutta (988) dai Saraceni, ma la sua ricostruzione viene avviata dal Principe Giovanni II di Salerno, che dota il borgo di mura e torri difensive, cosa che non impedisce alla città di subire il dominio dei greci-bizantini.
Nei decenni successivi, dopo esser stata oggetto di contesa tra Bizantini e Normanni, con la vittoria di questi ultimi, la terra di Montepeloso tocca in sorte al conte Tristano Normanno, passando poi sotto il dominio degli Svevi di Federico II.
Nel medioevo diviene feudo di numerose famiglie nobiliari e nel 1123 il papa Callisto II, con una bolla, la nomina cittadina sede episcopale, anche per contrastare la presenza bizantina ancora forte nel paese. Nel periodo svevo fu annessa alla contea di Andria e dopo la morte di Federico II diventa un marchesato sotto la signoria di Manfredi, quindi (1266) passò sotto il dominio degli Angioini.
Nel 1307 è la volta degli Orsini Del Balzo, che la perdono in seguito alla congiura dei baroni, con il subentrare degli Aragonesi, nel 1586 viene acquistata dalla ricca famiglia genovese dei Grimaldi per poi passare ai Riario Sforza, gli ultimi signori feudali di Montepeloso. Dopo l’unità d’Italia è interessata dal fenomeno del brigantaggio.
Tra fascino e suggestione a Irsina si scoprono architetture e quartieri dal carattere arcaico che ne svelano l’antica e intensa storia.
Una volta in paese si susseguono emozioni indescrivibili mentre si percorrono le strette viuzze dei quartieri custodi silenti di costruzioni nuove e antiche, di tipo civile e religioso. Ci si imbatte così negli antichi e imponenti palazzi nobiliari, ognuno dei quali racconta un pezzo di storia e di vita della cittadina, creando un insieme urbano di grande suggestione.
Costruiti tra Cinquecento e Settecento, i palazzi irsinesi sono caratterizzati da bugne, stemmi ed epigrafi. In via Sant’Angelo si può ammirare il cinquecentesco Palazzo Arsia, mentre, proprio addossato alla Cattedrale di Santa Maria Assunta, è visibile il Palazzo vescovile che ingloba la cappella di San Basilio. Interessante è anche il Palazzo Nugent, edificato sul precedente castello medioevale (XIV-XV), cui è annessa la porta Maggiore, principale punto di accesso alla città. Sul portale di accesso di Palazzo D’Amato Cantorio (XV sec.) è evidente lo stemma della famiglia D’Amato. Da non perdere è poi il seicentesco Palazzo Janora che, come il Palazzo Cantorio, si affaccia su via Roma e fu residenza dello storico irsinese Michele Janora. La struttura si distingue soprattutto per le sue caratteristiche bugne.
D’impatto sono anche le numerose chiese disseminate in tutto il centro storico, tra tutte la Cattedrale dell’Assunta, in cui è custodita la cinquecentesca statua di Santa Eufemia attribuita al Mantegna. E poi, attraversando le piazze di Irsina si possono ammirare le mura che si aprono nelle volte delle antiche porte e s’innalzano nelle circolari torri di guardia.
Appena fuori dall’antica Montepeloso, si impone allo sguardo del visitatore il singolare sistema dei Bottini, uno dei tragitti più suggestivi delle campagne irsinesi, che delinea un “percorso delle fontane” reso possibile da un’antica tecnica di incanalamento delle acque. Ed è proprio in contrada Fontana che ci si imbatte in cunicoli sotterranei percorribili ad altezza d’uomo e visitabili.
Il centro delle gallerie è attraversato da un canale lungo il quale scorre l’acqua alimentata dalle fonti sotterranee. In particolare, il bottino di Contrada Fontana si compone di una galleria principale e tre cunicoli, stretti e lunghi, che convergono verso le vasche. Qui l’acqua si deposita per poi sgorgare dalle tredici bocche della settecentesca fontana esterna.
La tradizione culinaria di Irsina è di origine contadina, come gran parte della rinomata e gustosa cucina della Basilicata.
Nei piatti che imbandiscono le tavole ingredienti predominanti sono i frutti della terra dal grano alle uova, dal vino cotto alle verdure, in grado di preparare succulenti ed esclusivi piatti. Il pane troneggia in diverse portate, come “a ciaudedd”, pane raffermo bagnato e condito con olio d’oliva, origano e pomodorini, o “u pen cutt”, pane raffermo cotto e condito con le rape.
I primi sono soprattutto a base di pasta fatta in casa, come i cavatelli con fagioli e finocchietti selvatici. Ottimo, tra i secondi, il famoso “callaridd”, agnello adulto e verdure, o anche con patate al forno, imperdibili sono poi i peperoni “crostl”, arrosto con pomodori e cipolla o il baccalà con pomodorini.
Tra i dolci della tradizione irsinese sono da provare “i ciamm’llen”, grosse ciambelle di uova e farina glassate, “i mastaccer”, dolcetti che hanno come ingredienti farina, uova, acqua e zucchero, con glassa sulla parte superiore, “i pzzitt” paste dolci di vino cotto di fichi, farina e uova, glassati. Molto diffusi sono anche i piatti salati come “i cangedd”, taralli a pasta salata realizzati con strutto, lievito, sale, uova e fiori di finocchio.
Paesaggi di rara bellezza strappano la promessa di un ritorno ad Irsina, nel cuore della collina materana.
Peculiarità dei panorami che circondano il territorio dell’antica Montepeloso è la varietà dei colori cangianti in base alle stagioni. Il rosso dei papaveri e il giallo delle margherite, della primavera, i dorati tappeti di spighe, dell’estate, le sconfinate distese di grano, dell’autunno, fino ai paesaggi pittoreschi e brulli, dell’inverno.
Tra le verdi colline e i rilievi montuosi ricchi di boschi spicca quello di Verrutoli, luogo ideale per chi ama passeggiare lungo sentieri sterrati e circondati da un paesaggio incontaminato.
Simbolo del sacro ad Irsina è senza dubbio la cattedrale dell’Assunta che custodisce la cinquecentesca statua di Santa Eufemia, ma numerosi sono anche gli altri luoghi sacri di interesse storico e artistico.
LA CATTEDRALE DELL’ASSUNTA
Distrutta e più volte ricostruita, la Cattedrale conserva il suo campanile dalle forme romaniche e gotiche, mentre la facciata è in stile barocco napoletano con pregevoli decorazioni sul portale.
Edificata nel XIII secolo e ricostruita nel 1777, la cattedrale dedicata a Santa Maria Assunta è scrigno di un gioiello di straordinaria bellezza e inestimabile valore: una scultura di Santa Eufemia in pietra di Nanto attribuita ad Andrea Mantegna.
Incantevole è anche la cripta che ospita gran parte dei gioielli artistici di origini venete, tutte insieme parte della cosiddetta collezione “De Mabilia”. In una nicchia, in alto, lo sguardo cade sulla scultura che ritrae la Madonna col Bambino, un capolavoro dai tratti raffinati riscontrabili nell’esilità delle mani affusolate fino all’elegante panneggio della tunica.
Della donazione fanno parte anche due dipinti dello stesso Mantegna: una Santa Eufemia, oggi nel Museo Capodimonte di Napoli, e una “Dormitio Virginis” (Transito della Madonna), di cui si sono perse le tracce, oltre al Reliquario d’argento che custodisce le ossa di un braccio della martire.
Al di sopra dell’altare maggiore della Cattedrale spunta uno splendido Crocifisso ligneo di scuola donatelliana, il cui intenso pathos cattura la sensibilità di chi, guardandolo dal basso, si perde nella drammaticità del volto sofferente colto nell’atto dell’ultimo respiro, enfatizzato dalle occhiaie pronunciate, dalle guance scarnite, dalla bocca socchiusa.
Tre Codici miniati, un grande fonte battesimale in breccia rossa di Verona e la cosiddetta Colonna di Santa Croce chiudono il ciclo di opere venete.
LA STATUA DI SANTA EUFEMIA
A chi entra nella Cattedrale di Santa Maria Assunta, a Irsina, e volge lo sguardo in direzione della nicchia posta a destra dell’altare, di fronte, si propone una sagoma femminile dal fascino unico.
Quasi a voler compiere un passo verso l’“ospite”, con fare cortese, lo sguardo fisso, fiero ma dolce, un sorriso appena accennato che lascia intravedere i denti, la bocca semiaperta come volesse parlare, su un basamento ligneo, in piedi, si distingue la statua a tutto tondo di Santa Eufemia che esperti e critici d’arte, tra cui Vittorio Sgarbi, hanno attribuito all’artista rinascimentale Andrea Mantegna.
La Martire venerata nel comune materano ha il portamento di una nobildonna d’altri tempi, accentuato dalla gamba destra leggermente spostata in avanti, indossa un abito verde in parte nascosto dal morbido manto dorato che, cadendo sul corpo, ne lascia intravedere l’anatomia, per poi stringersi con eleganza sul fianco sinistro. Nella mano sinistra “regge” la città di Montepeloso, con la destra, inserita nelle fauci del leone che le è accanto, sembra quasi voler addomesticare l’animale, svelando così il martirio subito dalla giovane data in pasto alle belve per la sua fede cristiana.
Sono i tratti del volto a rispecchiare e sottolineare gli stati d’animo della protagonista di quella vicenda: lievemente ruotato verso destra assume un atteggiamento di estrema naturalezza, tra rassegnazione e dignità, umanità e santità. Chi osserva la statua rinascimentale può ammirarne ogni particolare, girandole attorno è in grado di notare come anche la parte posteriore non è affidata al caso, minuziosamente scolpita nei lunghi capelli disposti sulle spalle con assoluta leggerezza e studiato ordine.
IL CONVENTO E LA CHIESA DI SAN FRANCESCO D’ASSISI
Il complesso sorge dove un tempo si trovava il castello di Federico II donato, pare dallo stesso Imperatore, ai frati francescani.
Dell’antico maniero sono ancora visibili la torre di vedetta, la sala delle armi e le scuderie, ben conservato è anche il rione Casale, sede delle abitazioni di soldati e artigiani del sovrano. Nella chiesa si possono ammirare affreschi cinquecenteschi visibili all’ingresso, un crocifisso ligneo e una scultura di San Vito, oltre ai dipinti trecenteschi realizzati da allievi della scuola di Giotto.
Dodici medaglioni intrecciati all’infinito, sinonimo di eternità, scorrono lungo ciascuna delle pareti maggiori della cappella, laddove la volta a botte inizia ad incurvarsi. Nel centro della volta stessa sovrasta il Pantocreator: l’Onnipotente, circondato dai quattro evangelisti con le sembianze dell’uomo alato con la bibbia, del leone e del toro alati, e dell’aquila. Al centro dell’affresco murale, sul pilastro della parete orientale, più integra delle altre, appare la scena anche più drammatica del ciclo: la Crocifissione. Ai lati: San Francesco e Santa Chiara.
Al lato destro del Crocifisso, nella nicchia cieca, ecco la Presentazione al Tempio di Gerusalemme, mentre sotto la finestra si riconosce, seppur a fatica perché molto rovinata, l’Ultima Cena. A sinistra della scena ci sono Gesù e San Giovanni che piange sulle sue spalle, mentre Giuda, inginocchiato, dà le spalle a chi osserva. Sulla parete settentrionale si può ammirare il Transito della Madonna (Dormitio Virginis) in abito blu, distesa su un catafalco e circondata da una folta schiera di angeli e apostoli che assistono, piangendo, al suo trapasso.
LA CHIESA DI SANTA MARIA NUOVA DI JUSO
Ci sono anche tracce dei basiliani, ad Irsina, impresse nella chiesa di Santa Maria Nova la quale sorge su un territorio noto come sito di Santa Maria di Juso.
Essa venne costruita dai monaci basiliani che si insediarono in una delle più fertili zone del paese lucano e che, nel loro nome, ancora oggi è detta contrada degli orti o dei “Greci”. Della chiesa di Santa Maria Nuova di Juso sopravvivono solo i ruderi degli edifici monastici, ma a lasciare intatto il resto della sua storia sono gli strati di pergamene che, a dispetto del trascorrere del tempo, sono state conservate e tramandate, alcune in parte conservate nell’archivio della Curia vescovile di Irsina.
Irsina è una delle location cinematografiche lucane scelte da registi italiani di grande fama come Michele Placido.
Tra le piazze, le strade e le masserie vicine al centro antico di Irsina nel 1998 Michele Placido ha girato alcune scene de “Del perduto amore”. In particolare tra le campagne e i vicoli del paese sono state girate scene della lotta politica e delle passioni ideologiche di cui è intrisa la pellicola.
Nella parte vecchia della città, nel 2003, è stato girato anche il film “Prova a volare”, interpretato da Riccardo Scamarcio, Ennio Fantastichini e Antonio Catania, per la regia di Lorenzo Cicconi Massi.
Paesaggi di rara bellezza, lungo sentieri da percorrere a piedi o in bicicletta strappano la promessa di un ritorno ad Irsina, nel cuore della collina materana.
Gli appassionati di trekking o dei percorsi in mountain bike possono raggiungere il centro storico dell’antica Montepeloso o inoltrarsi fino allo splendido sistema dei Bottini, uno dei tragitti più suggestivi delle campagne irsinesi, attraversando le immense distese di grano circondati dalle colline che caratterizzano lo splendido paesaggio.
Potranno così immergersi nello spettacolare territorio di Irsina contraddistinto da una varietà di colori cangianti a seconda delle stagioni. Il rosso dei papaveri e il giallo delle margherite, della primavera, i dorati tappeti di spighe, dell’estate, le sconfinate distese di grano, dell’autunno, fino ai paesaggi pittoreschi e brulli, dell’inverno. Tra le verdi colline e i rilievi montuosi ricchi di boschi spicca quello di Verrutoli, luogo ideale per chi ama passeggiare lungo sentieri sterrati e circondati da un paesaggio incontaminato, organizzando così suggestive gite fuori porta.
Un ricco patrimonio archeologico impreziosisce la cultura e la storia di Irsina, tra l’area archeologica del monte d’Irsi e il Museo Archeologico Civico “Michele Janora”
La prima, a poco più di dieci chilometri da Irsina, era abitata sin dall’età del ferro. Il sito fu strategicamente scelto dai romani perché collocato sulle principali vie di comunicazione del tempo, a documentarlo sono i resti della villa romana con un pavimento a mosaico e i ruderi di un’antica cinta muraria, testimonianza dell’esistenza di un villaggio. Fortificazioni, cinte murarie e castello sono i segni di un insediamento medioevale, individuati attraverso telerilevamenti satellitari.
In alcune sale del cinquecentesco convento di San Francesco, nel cuore del centro storico, sono ospitati il Museo Archeologico Civico “Michele Janora” e una collezione di circa 300 reperti (per lo più pezzi in ceramica) appartenenti a diverse epoche storiche, dalla preistoria all’età ellenistica, e disposti in ordine cronologico.