Ritratto di Rocco Scotellaro - Carlo Levi

Possibile Itinerario tematico Rocco Scotellaro

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Matera, Capitale Europea della Cultura nel 2019, città dei Sassi  e delle oltre 150 chiese rupestri patrimonio Unesco, rappresenta il punto di partenza di questo itinerario sulle orme di Rocco Scotellaro,  l’insigne meridionalista nato a Tricarico, comune di cui è stato due volte sindaco (1946-1948 e fino al 1950) e che costituisce proprio il punto d’arrivo di questo percorso.

Il viaggio continua alla scoperta di un altro importante centro storico-culturale: Montescaglioso e la sua imponente Abbazia di San Michele Arcangelo, uno dei più significativi monumenti della Basilicata, che molti fanno risalire all’anno Mille. Numerosi affreschi raffiguranti santi, filosofi e figure allegoriche ne decorano i chiostri, il piano superiore e la biblioteca. L’ Abbazia è impreziosita anche da dipinti di Girolamo Todisco, mentre il campanile medievale conserva bifore per ogni lato.

Spostandosi leggermente a nord, affiora un’altra perla lucana: Miglionico con il suo imponente Castello del Malconsiglio, così denominato perché tra le stanze del maniero, intuita la congiura dei baroni meridionali ordita a suo danno, il re Ferdinando I d’Aragona avrebbe fatto giustiziare i capi Girolamo e Luca Sanseverino. Opere pregevoli sono custodite poi nella Chiesa di Santa Maria Maggiore: il Polittico del maestro veneto Cima da Conegliano composto da 18 tavole con al centro la raffinata Vergine in Trono con Bambino e San Giovanni Battista; opere del Tintoretto e del Guercino; un Crocifisso ricco di tensione emotiva tanto che Mel Gibson ha scelto di utilizzarlo in una scena del film “The Passion” girato a Matera. Lascia senza fiato anche la Pietà scolpita da Altobello Persio.

Passando per Grassano, uno dei luoghi di confino di Carlo Levi, si giunge a Tricarico, il cui centro storico medioevale, composto da quartieri arabi e normanni, è tra i più importanti e meglio conservati della Basilicata.

Tra le numerose chiese si distingue uno dei principali luoghi mariani della regione: il Santuario della Madonna di Fonti, raggiunto a piedi ogni anno da molti fedeli, e la Cattedrale di Santa Maria Assunta. Non passa inosservata, poi, la Torre Normanna, alta 27 metri.

A Tricarico ogni simbolo rimanda alla figura di Scotellaro, come la targa apposta sulla sua casa: “Rocco Scotellaro: sindaco socialista di Tricarico – poeta della libertà contadina”.

Nel cimitero, proprio nel punto in cui riposa il meridionalista, l’amico Carlo Levi ha disposto la costruzione di un vero e proprio monumento funebre, con una finestra sul panorama collinare, quel “versante lungo del Basento” sempre descritto da Scotellaro nelle sue opere e su una delle pietre sono stati incisi i versi finali della poesia “Sempre nuova è l’alba”:

«Ma nei sentieri non si torna indietro.
Altre ali fuggiranno/dalle paglie della cova,
perché lungo il perire dei tempi
l’alba è nuova, è nuova».

Trovandosi in questi luoghi in prossimità del 17 gennaio o il giorno del Martedì Grasso, può capitare di udire, a partire dalle prime luci dell’alba, un suono cupo e assordante, ma non c’è nulla da temere, sono “L’màsh-k-r di Tricarico”, figuranti travestiti da “mucche” e “tori” che annunciano l’inizio del Carnevale Tricaricese.


Carlo Levi

Itinerario letterario su Carlo Levi

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«…fu dapprima esperienza, e pittura e poesia…e poi teoria e gioia di verità per diventare infine apertamente racconto…». Racconto della Basilicata, della sua gente, della sua storia, questo ha rappresentato per Carlo Levi il suo “Cristo si è fermato ad Eboli”, ispirato dal confino trascorso in terra lucana (1935-1936). Accusato di appartenere ad organizzazioni sovversive antifasciste, Levi arriva a Grassano per poi essere trasferito ad Aliano.

Durante il soggiorno in Basilicata lo scrittore esercita per la prima volta la professione di medico, nonostante avesse conseguito nel 1923 la laurea in Medicina, a Torino, città in cui nasce il 29 novembre 1902. Ad Aliano, Gagliano come più volte chiama il paese lucano nel suo libro, secondo la pronuncia locale, Levi stringe un’amicizia profonda con la gente del posto che vede in lui un riferimento come uomo, perché ne comprende le difficoltà e la sostiene, e come medico, curandone, gratuitamente, i malanni.

In Basilicata il confinato torinese coltiva anche un’altra delle sue passioni, la pittura, e, dipingendo, incornicia i volti di quegli uomini e quelle donne, mettendone in evidenza l’animo, la fatica, il dolore per la miseria. Quei volti diventano i protagonisti dei dipinti esposti, nel 1954, alla Biennale di Venezia. La vita di tutti giorni e il confronto con il popolo lucano, inoltre, gli suggeriscono appunti per il suo taccuino, appunti che, nel 1943, diventano le pagine del suo capolavoro: “Cristo si è fermato ad Eboli”.

Come egli stesso dirà: «Come in un viaggio al principio del tempo “Cristo si è fermato ad Eboli” racconta la scoperta di una diversa civiltà. È quella dei contadini del Mezzogiorno: fuori della Storia e della Ragione progressiva, antichissima sapienza e paziente dolore. Il libro tuttavia non è un diario; fu scritto molti anni dopo l’esperienza diretta da cui trasse origine, quando le impressioni reali non avevano più la prosastica urgenza del documento».

 

Levi muore a Roma, il 4 gennaio del 1975, ma, secondo le sue volontà, viene sepolto ad Aliano, nel cimitero in cui spesso la gente lo incontrava con cavalletto e colori. Nel paese in cui: «Mi pareva di essere staccato da ogni cosa, da ogni luogo, remotissimo da ogni determinazione, perduto fuori del tempo…».

Opere

Letteratura
Cristo si è fermato a Eboli (1945)
Paura della libertà (1946)
L’Orologio (1950)
Le parole sono pietre – Premio Viareggio – (1955)
Il futuro ha un cuore antico (1956)
La doppia notte dei tigli (1959)
Un volto che ci somiglia. Ritratto dell’Italia (1960)
Tutto il miele è finito (1964)

Pittura
Ritratto del padre (1921)
Il fratello e la sorella (1925)
Le officine del gas (1926)
Candida (1927)
Parigi (1927)
Donna con cloche (1928)
Autoritratto con barba (1929)
Vele (1929)
Caramelle Baratti (1930)
Ritratto della madre (1930)
L’eroe cinese (1932)
Ritratto di Carlo Rosselli (1932)
Leone Ginzurg (1933)
Lamento funebre per Rocco Scotellaro (1933-34)
La strega e il bambino (1936)
Ritratto di Paola vestito a fiori (1938)
Ritratto di Gadda (1942)
La guerra partigiana (1944)
Ritratto di Pablo Neruda (1951)
Inferno e Paradiso (1972)
Nuotatore
Lucania ’61

I dipinti del confino
La santarcangiolese (1936)
La strada alle grotte (1935)
Paesaggio di Aliano o Aliano in grigio-rosa (1935)
Ritratto di Paola sul cuscino (1935)
Tonino o ragazzo lucano (1935)
Il capitano e le volpi (1935)

Itinerario

Questo itinerario culmina in uno dei luoghi chiave nella vicenda lucana di Carlo Levi: Grassano, il primo paese della Basilicata in cui lo scrittore torinese viene confinato. È il 3 agosto del 1935 e alloggia nell’albergo “Prisco”, in Corso Umberto. La partenza è invece fissata in Guardia Perticara, poco distante da Aliano, qui Levi viene trasferito dopo la permanenza a Grassano. Meno servito dai mezzi di trasporto, Guardia Perticara “Gagliano”, secondo la pronuncia locale, si rivela più adatto al periodo di isolamento imposto allo scrittore torinese.

Guardia Perticara rientra nel club “I borghi più belli d’Italia”, insieme ad Acerenza, Castelmezzano, Pietrapertosa e Venosa. Dal 2011 sul piccolo paese della provincia di Potenza “sventola” la “Bandiera arancione”, marchio di qualità turistico-ambientale conferito dal Touring Club ai piccoli comuni dell’entroterra italiano.

Aliano

A poco più di 15 chilometri, aggrappato al bordo di un dirupo, ecco Aliano, il comune della provincia di Matera immerso nel paesaggio lunare dei “calanchi”, imponenti e suggestive colline argillose erose dalla pioggia e dal vento. Non esiste fotografia più nitida che delinei i tratti del paesino che lo ospitò come quella scattata da Carlo Levi dal terrazzo della sua casa: «Spalancai una porta-finestra, mi affacciai a un balcone […] e venendo dall’ombra dell’interno, rimasi quasi accecato dall’improvviso biancore abbagliante. Sotto di me c’era il burrone; davanti, senza che nulla si frapponesse allo sguardo, l’infinita distesa delle argille aride, senza un segno di vita umana, ondulanti nel sole a perdita d’occhio, fin dove, lontanissime, parevano sciogliersi nel cielo bianco».

Ad Aliano oggi è possibile visitare il Parco Letterario e la Casa Museo dello scrittore torinese.

Craco

Puntando a nord, si procede alla volta di Craco, il “paese fantasma”, così definito in seguito alla frana che nel 1963 distrusse la cittadina della provincia materana costringendo gli abitanti a trasferirsi a valle, nella frazione Peschiera di Craco. Inserito nella Watch List 2010 del WMF, Craco è patrimonio storico e culturale dell’umanità. Oggi, attraverso un percorso di visita guidata, lungo un itinerario messo in sicurezza, è possibile raggiungere il corso principale del paese, fino a quello che resta della vecchia piazza principale, sprofondata proprio in seguito alla frana.

Matera

Location cinematografica da oltre sessant’anni, scelta da nomi altisonanti del grande schermo italiano e straniero – da Pier Paolo Pasolini a Mel Gibson -, Matera è la “Città dei Sassi”, il Barisano, a nord ovest, e il Caveoso, a sud, con al centro la Civita, il nucleo più antico dell’abitato. Dal ’93 Patrimonio Mondiale dell’Unesco, i Sassi rappresentano un complesso urbano composto dall’avvicendarsi di vicoli e scale, grotte, palazzotti signorili e chiese scavati nel tufo. Culla dell’arte e del sapere, al punto da esser candidata a “Capitale Europea della Cultura 2019”, Matera ospita numerosi musei: il Museo Archeologico Nazionale “Domenico Ridola”, il Museo della Scultura Contemporanea (Musma), con sede nell’antico Palazzo Pomarici, e quello Nazionale d’Arte Medievale e Moderna della Basilicata, nello splendido Palazzo Lanfranchi. Su questo territorio sorge anche il Parco Regionale Archeologico Storico Naturale delle Chiese Rupestri del Materano, anch’esso Patrimonio Mondiale dell’Unesco, uno dei più spettacolari paesaggi rupestri d’Italia. Dal fascino inequivocabile, in località Pietrapenta, è di straordinaria bellezza “La Cripta del Peccato Originale”, la chiesa-grotta definita “Cappella Sistina” della pittura parietale rupestre per il ciclo di affreschi realizzato cinquecento anni prima di Giotto, che illustra il racconto biblico dei primi capitoli della Genesi.

Grassano

Tra Palazzi storici e chiese custodi di interessanti opere d’arte, Grassano è uno degli esempi più importanti di insediamento urbano edificato dall’Ordine di Malta in Basilicata. Tra i Palazzi signorili si distingue Palazzo Materi, cui fa riferimento anche Carlo Levi nel suo “Cristo si è fermato ad Eboli”. Sul punto più alto del paese svetta la Chiesa Madre, originariamente cappella del castello del Commendatore di Malta. Una volta a Grassano merita una visita anche il Convento di Santa Maria del Carmine dove sono conservate tele del Seicento e del Settecento, oltre a prestigiosi affreschi (‘700) e una Via Crucis di Domenico Guarino. Il territorio di Grassano è caratterizzato da agglomerati di cantine-grotte, scavate in suggestive pareti verticali, sono i cosiddetti “Cinti” di Grassano.


Itinerario Alla scoperta della costa Ionica e del suo entroterra

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Racchiusa dal mar Jonio, la costa pianeggiante e sabbiosa è l’ultimo dorato lembo dato dal declinare della collina materana, più volte insignita della bandiera blu e anche della bandiera verde, importante riconoscimento conferito dai pediatri per le spiagge a misura di bambino.
Diversi sono i borghi che connotano questo territorio, da quelli sul litorale a quelli dell’entroterra e tutti meritano una visita poiché raccontano di antiche gesta e moderne virtù.
Oltre a Policoro e Metaponto anche il borgo di Scanzano Ionico vanta origini antichissime e a testimonianza di ciò vi sono numerosi resti archeologici ivi rinvenuti. Grazie a tali ritrovamenti è stato possibile, inoltre, affermare che la vocazione agricola e ortofrutticola di Scanzano, definito come la California del sud, è ben radicata nei secoli addirittura fin da quando la zona fu occupata dai Micenei. Di questa frequentazione restano importanti tracce a livello archeologico: in località Termitito, infatti, si possono osservare resti di un insediamento risalente al XIII-XI secolo a. C.
Scanzano Jonico è anche rinomato per le sue piantagioni di agrumi, ortaggi e tabacco oltre che per gli accoglienti stabilimenti balneari.

La cittadina di Bernalda, che dalla collina con il suo tipico castello si affaccia sulla distesa di campagne e campi coltivati, deve la sua fama anche al famoso regista statunitense Francis Ford Coppola i cui nonni erano originari della città. Il regista si è innamorato della Basilicata e di Bernalda in particolare, tanto da aprire qui un resort di lusso in cui trascorre diversi periodi nell’anno.

L’itinerario di scoperta del litorale ionico prevede fra le sue tappe l’antica Bollita, oggi conosciuta come Nova Siri. Il toponimo originario rimane nella torre, eretta nel 1520 al fine di avvistare le navi dei Saraceni, edificata in località Marina di Nova Siri. La città vanta un noto antenato, Diego Sandoval de Castro, presunto amante della giovane poetessa di Valsinni Isabella Morra. Il loro fu soltanto un legame letterario, ma ciò bastò ai fratelli della Morra per assassinarli entrambi.

Spostandosi poi verso l’interno, a pochi chilometri si può visitare Pisticci, meglio conosciuta come la “città bianca”, per le sue case tinteggiate di calce dai caratteristici tetti rossi, allineate su lunghe file nel suggestivo rione “Dirupo. In località Marina di Pisticci vi è il secondo porto della costa Jonica il Porto degli Argonauti, strategico punto di partenza per intraprendere escursioni in barca, giornaliere o di maggior durata, con imbarcazioni attrezzate e complete di skipper. Il Porto degli Argonauti è, inoltre, un approdo per barche di piccolo-medio cabotaggio, anche di lunghezza superiore ai 30 metri, ed è in grado di ospitare fino a 450 natanti.

Affacciato sul mar Jonio è anche il borgo dalla forma tondeggiante di Rotondella, tanto da essere conosciuto per la sua posizione panoramica come il balcone dello Jonio. La parte più antica della città è nota per le “Lamie” di Bitonte, emergenze architettoniche costituite da seicenteschi archi in pietra a volta situati sotto il calpestio del palazzo di proprietà della famiglia Bitonte, da cui prendono il nome.
Spingendosi più nell’entroterra si trovano due borghi in cui la poesia fa da protagonista: Tursi e Valsinni. Entrambi i centri hanno dato infatti i natali a due illustri poeti, Albino Pierro e Isabella Morra.

Tursi è la città natale del Pierro, due volte candidato al Nobel per la letteratura. Il borgo sorge su una collina di formazione arenaria fra i fiumi Agri e Sinni. Il poeta nei suoi celebri versi in dialetto tursitano ne ha più volte decantato la millenaria bellezza. Leggendo le sue parole si può facilmente immaginare il suggestivo fascino del quartiere arabo della Rabatana, costituito da vicoli scoscesi e da gradinate tortuose che conducono a profondi precipizi, chiamati dal poeta Jaramme. A lui è stato dedicato un Parco letterario, dal quale si gode di una suggestiva vista sui calanchi verso il Santuario di Santa Maria D’Anglona, vero e proprio gioiello di architettura medievale.

L’antica Favale oggi nota come Valsinni fu la città della tanto talentuosa quanto sfortunata poetessa Isabella Morra. Nel lontano cinquecento il borgo fu teatro della sventurata “storia d’amore” fra la poetessa e il signore della vicina Bollita, Diego Sandoval de Castro. La vita della Morra fu breve e tormentata a causa del suo amore platonico e dell’atroce gesto dei suoi fratelli. La sua storia rimane impressa indelebilmente nel castello in cui visse, che domina il piccolo abitato, e nel Parco letterario a lei dedicato, in cui ogni anno vengono messi in scena la vita e i versi della poetessa.

Il litorale Jonico non è caratterizzato solo dall’azzurro cristallino del suo mare e dalle dorate distese di soffice sabbia, ma anche dai calanchi, formazioni argillose dall’inconfondibile morfologia che ricordano un paesaggio lunare. La Riserva regionale dei calanchi è un’area paesaggistica di una bellezza senza eguali, è la più estesa della Basilicata e ha rarità geologiche, vegetali e animali che la rendono unica al mondo. Quest’ultima ha sede a Montalbano Jonico, città famosa per la coltivazione di agrumi e ortaggi nei cosiddetti giardini di Montalbano.

L’itinerario fra le bellezze della Costa Jonica si conclude con il borgo di Colobraro che sorge su una collina dalla quale domina l’intera valle dell’Agri, tanto da essere definito come la “sentinella della Val d’Agri”. Da lì si gode una particolare vista sul borgo di Valsinni e di splendidi panorami dell’intera valle, ugualmente suggestivi in qualunque momento del giorno e della sera.


Itinerario enogastronomico nella Valle dell'Agri

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UN SODALIZIO PERFETTO TRA NATURA, STORIA E GENUINITÀ ENOGASTRONOMICA

Un Itinerario enogastronomico nella Valle dell’Agri.

Incanta il modo in cui la natura si è espressa in questa zona, con alte vette che racchiudono, quasi proteggendo, un’intera vallata fatta di piccoli borghi che lasciano risuonare la loro voce con forti note storico-archeologiche che si diffondono tra faggi, cerri, aceri, castagni e abeti, attraversati dai numerosi corsi d’acqua che caratterizzano l’area. È la terra dell’Agri, fiume un tempo navigabile; è la terra compresa tra i monti Vulturino e Sirino, riconosciuta nel 2007 Parco Nazionale dell’Appennino Lucano – Val d’Agri – Lagonegrese. È qui, tra laghi, dighe, distese verdi e boschi abitati dalle specie animali più svariate, che avviene il magico sodalizio tra madre natura, la storia e i sapori del luogo, chiave di volta, questi ultimi, nel percorso di presentazione del territorio. Un modo innovativo di conoscere i luoghi è, infatti, quello che prende il via dalla tavola, dai piatti che la colorano, dai sapori che la caratterizzano. Elementi che possono guidare la conoscenza di un popolo e della sua cultura molto più di quanto si pensi. La morfologia del territorio, le condizioni socio-economiche che hanno caratterizzato le diverse epoche storiche, sono i fattori che hanno contribuito allo sviluppo di un particolare tipo di alimentazione, favorendo nel tempo l’affermazione di piatti tipici unici e riconoscibili.

LA CULTURA DELLA TAVOLA

L’itinerario enogastronomico nella Valle dell’Agri ci porta a conoscere i borghi disseminati per la Valle dell’Agri, scoprirne l’essenza e portarne il ricordo è un’esperienza che passa anche per la tavola. Del resto, come asseriva il filosofo tedesco, Ludwig Feuerbach, “l’uomo è ciò che mangia”; la cultura di ciascun popolo, la sua identità, le tradizioni che caratterizzano ogni comunità, si riflettono anche sul cibo, che ne diventa, nel tempo, uno dei principali vettori dell’identità culturale. Un simbolo inequivocabile. È cultura mentre lo si prepara, è cultura la tradizione da cui nasce, è cultura anche il momento della sua consumazione. Tra i lussureggianti boschi selvaggi, gli habitat lacustri e i numerosi fiumi che rigano il territorio della Val d’Agri, sorgono piccoli borghi dalla storia interessante, con frammenti di un passato ancestrale che primeggia ancor oggi nell’architettura, nell’arte e addirittura nella tradizione enogastronomica. Gli odori che inebriano quest’area, sono quelli della genuinità, del buono, dell’handmade. Sono gli odori della tradizione locale, che ci guidano in un tour sensoriale senza eguali. Sono il portato congiunto di storia, tradizione e natura.

IN VINO VERITAS…ET HISTORIA

Terra di vigneti, l’Alta Val d’Agri vanta la produzione di pregiato vino, declamato già in passato da Plinio il Vecchio, definito “bevanda divina” tra le pagine di Omero e noto ai romani con il nome di “lagarina”.

Si tratta di una tradizione, quelle vitivinicola, che affonda le sue radici in tempi molto antichi, dunque, e che ci consente di fare un salto, sorseggiando un bel calice di rosso locale, in epoche lontanissime che partono dall’Antica Grecia passando per i Romani e proseguendo per tutti i vari popoli che si sono susseguiti. Il nettare rosso delle montagne lucane, infatti, viene prodotto ai suoi albori secondo tecniche appartenenti all’antica Enotria.

Si narra che i colonizzatori greci iniziarono il territorio lucano a pratiche vitivinicole già nell’età del ferro. Con lo sviluppo delle colonie greche sullo Jonio, in particolar modo Siris e Sibari, le attività di produzione vinicola si diffusero anche nell’entroterra e, dopo la distruzione di Sibari nel 510 a.C., i Sibariti si stanziarono definitivamente nelle vallate fluviali dell’Appennino lucano, importando in quest’area la tradizione delle Aminae, una particolare tipologia di vitigni nota per la sua resa produttiva e la durata del vino al punto da diventare un marchio di riferimento.

Successivamente, attorno al I sec. a.C., il romano Marcus Valerius Messalla Potitus mise in piedi una vera e propria azienda agricola con vitigni provenienti dalla fortezza jonica di Lagaria, da cui il vino derivò il nome di “lagarina”, con il riconoscimento, da parte della medicina dell’epoca, di una serie di proprietà terapeutiche. Il vino delle Terre dell’Alta Val d’Agri oggi si fregia del riconoscimento dell’etichetta DOC, e viene prodotto principalmente nelle aree di Viggiano, Grumento e Moliterno.

Si tratta di un uvaggio attestato per il 40% di Cabernet e 40% di Merlot, con una restante parte di vitigno lucano a scelta che ne caratterizza ulteriormente il gusto. Le aree interessate dalla produzione di vino, sono siti in grado di offrire non solo emozioni organolettiche ma veri e propri viaggi nel tempo.

L’itinerario enogastronomico nella Valle dell’Agri e la religione

Basta considerare il culto della Madonna di Viggiano, dalla sua nascita allo sviluppo dell’intera tradizione, il gioiello archeologico di Grumentum con il richiamo alla storia romana, o ancora le origini di Moliterno: un borgo di case bianche che si narra sia stato costruito a seguito della distruzione di Grumentum per opera dei Saraceni.
Per più di un secolo venne dominato dai Normanni, dei quali oggi ammiriamo il maestoso Castello, tra i cui resti spicca la torre a pianta quadrangolare divisa in tre piani, ognuno occupato da una singola stanza: le prigioni. Ma le rovine del castello in cima allo sperone più alto non sono l’unico argomento storico del piccolo comune.

Una serie di eleganti palazzi nobiliari cattura l’attenzione prima ancora di arrivare al portone con arco romano da cui si accede alla fortezza: si tratta di Palazzo Parisi, Giliberti, Palazzo Mobilio Giampietro e Palazzo Lovito. Un’altra attrattiva è data dal noto sistema museale MAM (Musei Aiello Moliterno): una serie di musei sparsi per tutto il paese, nati grazie all’operato della famiglia Aiello e in cui sono custodite opere d’arte realizzate da artisti lucani (Museo Palazzo Aiello 1786 e Museo Casa Domenico Aiello) e ospitate mostre contemporanee e moderne (Museo via Rosario Contemporanea), intere collezioni di ceramiche (Museo della Ceramica del ‘900) e, ancora, la storia dei libri raccontata all’interno di una struttura in stile liberty (Biblioteca Lucana Angela Aiello). Imperdibili anche la Sala delle mappe e quella dedicata alla storia dei terremoti.

L’itinerario enogastronomico nella Valle dell’Agri ci porta a gustare un altro prodotto tipico di Moliterno, il famoso Pecorino Canestrato, riconosciuto prodotto IGP e protagonista della Sagra del Pecorino che ogni anno raccoglie numerosi amanti di prodotti caseari e curiosi del gusto. Si tratta di un formaggio molto saporito, prodotto dal latte caprino mischiato a quello di pecora, arricchito con erbe aromatiche e conservato un tempo in canestri di giunco (da cui il nome “canestrato”), divenuto celebre, nonché motivo di guadagno per i moliternesi, a partire dal’700.

La sua produzione, del resto, è strettamente legata alla toponomastica del comune. Il nome “Moliterno” deriverebbe infatti dall’arcaico “mulcternum” che tradotto in italiano significherebbe “luogo dove si fa il latte”. Il viaggio alla scoperta dei sapori più significativi della Valle dell’Agri ci porta a Sarconi, con il suo fagiolo IGP.

Si tratta di ben 20 varietà di ecotipi locali del prelibato fagiolo derivato dalle piantagioni di Cannellini e Borlotti. Ogni anno si tiene una sagra dedicata al prodotto che, per molto tempo in un passato remoto in cui l’agricoltura era la sola risorsa di vita, ha rappresentato l’unica fonte di sostentamento.

La sua gustosità deriva sicuramente dalle condizioni climatiche e dal terreno sabbioso, ricco di azoto ma privo di calcare. Il terreno alluvionale che caratterizza la zona ci riporta alla presenza importante dell’acqua che ha una grande resa sulle colture. Basti pensare all’utilizzo che in passato ne è stato fatto, con la costruzione dell’acquedotto romano “Cavour”, oggi visitabile, edificato nel 1867 in stile romano.

Nei pressi di Sarconi si trovano altre piccole realtà che annoverano tra i piatti tipici i legumi, presentando al contempo un vincente binomio cibo/cultura, interessante per saziare anche la mente e la curiosità dei visitatori più vivaci.

Tra questi, Spinoso. Una piacevole “terrazza” adagiata sul Lago del Pertusillo che affaccia romanticamente sulla natura della Val d’Agri. Anche qui è possibile gustare degli ottimi ceci cucinati con la verdura o abbinati a pasta fatta in casa. Il tutto condito da richiami storici impossibili da evitare. Notevole, infatti, la Chiesa Madre dedicata a Santa Maria Assunta e risalente al 1583. In stile barocco, a croce latina, conserva pregiate tele di noti autori lucani e capolavori anonimi, oltre a singolari altari lignei.


Itinerario "Nella Valle del Basento | Tra resti romani e architetture avveniristiche"

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Itinerario N.2 

La città di Potenza è circondata da una fitta macchia di faggi, querce, castagni e pini, e attraversata da diversi spazi verdi che animano la vita sportiva e ludica di numerosi quartieri. Tra parchi cittadini e immediati dintorni, alcuni scorci potentini si lasciano vivere piacevolmente in una gradevole armonia tra natura e architetture.

  • Da ponte a ponte

È avvincente la sinergia con cui la natura, la storia e la spinta propulsiva verso orizzonti futuristici abbia creato angoli singolari come il Parco fluviale del Basento: una passeggiata evasiva in riva al fiume consente un’immediata immersione in una dimensione del tutto nuova e inaspettata, avulsa dal trambusto urbano, in un tratto della città compreso tra due significative strutture architettoniche, antitetiche tra loro, il Ponte San Vito e il Ponte Musmeci. 

Il Ponte San Vito, di origine romana, fu costruito nell’era diocleziana nella seconda metà del III sec. d.C. La sua solidità trapela dalla pietra che lo compone e dalla struttura a tre luci che lo caratterizza. Elemento fondante di quest’area, da secoli assiste al lento scorrere delle acque del Basento, donando, a chi lo attraversa, la sensazione di entrare a contatto con epoche passate. Da qui, si snoda il percorso pedonale che costeggia il fiume, ideale per passeggiate e corse all’aria aperta in perfetta simbiosi con la natura.

Percorrendo interamente il passeggio in riva al fiume si giunge al Ponte Musmeci, una vera e propria opera d’arte dalla struttura muscolosa e plastica, progettato alla fine degli anni ’60 dall’architetto da cui prende il nome. Singolare il suo disegno: un’unica volta dello spessore di soli 30 cm è sorretta da 4 campate il cui profilo richiama quello di un’enorme foglia accartocciata, le cui punte fungono da piloni di appoggio. Illuminato in modo suggestivo la sera, sovrasta il punto in cui il letto del Basento si fa più largo lasciando spazio a piccole cascate e radure ombrose

  • In un’antica villa romana

Da viale del Basento si raggiunge facilmente il quartiere di Malvaccaro, dove si trova un altro importante tassello del patrimonio culturale potentino. Si tratta della Villa romana risalente al III-IV secolo. Si sviluppa su più livelli e i suoi ambienti sono tutti visitabili e molto suggestivi, arricchiti da mosaici policromi e spesso utilizzati per eventi culturali.

  • Sulle scale mobili verso il centro città

In questo stesso quartiere è presente l’accesso alle note scale mobili, le più lunghe d’Europa, da non perdere. Collegano parti opposte della città consentendo il raggiungimento del centro storico in pochi minuti.
In tal modo si potrà fare una capatina in centro e visitare il Museo archeologico nazionale Dinu Adamesteanu, in cui è possibile ripercorrere il susseguirsi di popoli e culture che ha caratterizzato la Basilicata, dalla colonizzazione greca alla conquista romana.

Dopo aver trascorso la mattinata tra richiami storici e qualche piccolo assaggio della natura lucana, si potrà pensare di provare le prelibatezze locali cucinate con cura e attenzione alla tradizione presso le varie trattorie della città, luoghi storici per il palato lucano e ricarica per i visitatori, per poi ripartire alla scoperta del lato verde e più ludico della città e dei suoi più prossimi dintorni.

  • Dall’Oasi WWF del Pantano di Pignola ai boschi di Rifreddo e Sellata

A pochi chilometri dal perimetro urbano, la natura la fa da padrone. La splendida oasi naturale che nasce attorno al lago Pantano di Pignola ammalierà con la ricchezza della flora e della fauna che la abitano. Distese verdi si spiegano ai piedi delle alte montagne dell’Appennino lucano spingendosi fino ai bordi dell’oasi e creando un’area attraversata da sentieri solitamente frequentati dagli amanti del trekking, della mountain bike e delle passeggiate a cavallo.

Continuando a salire di quota ci si inoltra nei boschi di Rifreddo e Sellata, in cui aree pic-nic e possibilità di fare outdoor sia in inverno (grazie alla presenza di impianti sciistici) che in estate, rendono la zona adatta a turisti di tutte le età.


Itinerario "Nel centro storico di Potenza | Sulle orme di San Gerardo, tra le voci di un’architettura sapiente"

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Dedicare una giornata per visitare il capoluogo lucano può essere un’esperienza molto interessante, un vero e proprio viaggio temporale nel cuore del centro storico dove, spostandosi a piedi ci si può ritrovare sulle orme del Santo Patrono potentino. Un viaggio che, tra leggenda e storia, tra l’architettura di un tempo e l’innovazione odierna, lascia spazio a meraviglia e scoperta, curiosità e conoscenza.

Addentrandosi nel centro dal lato di Porta Salza, punto il cui nome deriva dalla presenza della porta principale di ingresso (abbattuta agli inizi dell’800) alla città medioevale, sarà inevitabile interrompere la lieta passeggiata per inoltrarsi tra le stradine che intersecano la via principale, via Pretoria, disseminate di richiami all’antico borgo medioevale. Bassi edifici si alternano a palazzi gentilizi e a strutture moderne. Vicoli sottili si susseguono, paralleli, incrociati, ciechi o comunicanti, in pietra grigia, con il legno dei portoni di un tempo e adornati dai fiori colorati che si affacciano da balconcini e davanzali. Caratteristiche fontane pubbliche e stemmi nobiliari intensificano l’atmosfera delle tipiche viuzze di quest’area, contenuta in quel perimetro segnato dalle antiche porte (alcune ancora visibili: Porta San Luca, Porta San Gerardo e Porta San Giovanni), un tempo unico accesso fra le cinta murarie. Frammenti di storia che rendono unici gli angoli del centro, promanando un senso di calore e di autenticità.

Puntellano il centro storico diversi luoghi sacri, emblema di quel passato da cui è emersa la città che oggi conosciamo: la Chiesa di Santa Lucia, quella di San Michele, il Duomo di San Gerardo e la Chiesa di San Francesco sono esempi di un’architettura importante, simbolica ed eloquente, accompagnata dalla presenza di interessanti opere artistiche:

La prima, la Chiesa di Santa Lucia, di origine medioevale, sorge circondata da basse casupole del borgo antico e conserva una splendida statua ottocentesca dell’artista locale Busciolano e vari elementi decorativi degni di essere ammirati dal vivo, come lo stemma araldico del 1586.

È un capolavoro di arte romanica, invece, la chiesa dedicata a San Michele Arcangelo, risalente al 1178 e custode di opere d’arte quali “l’Annunciazione” (1612) del Pietrafesa e “Madonna del Rosario e quindici Misteri” (1569) di Antonio Stabile.

Imponente, con un campanile svettante e una facciata dominata da una pregiata porta in bronzo scolpita dal calabrese Niglia nel 1968 e su cui sono raffigurati gli eventi più significativi della storia potentina, la Cattedrale di San Gerardo racchiude tra le sue mura un’atmosfera fortemente suggestiva, data dalla presenza di elementi quali una numerosa serie di affreschi barocchi e oli su tavola, il sarcofago contenente le spoglie del Santo o la suggestiva cripta databile tra il IV e il VI sec a.C. con la funzione di “Martyrion”, luogo atto a custodire i cadaveri dei martiri.

Alle spalle del Duomo sorge il Museo Diocesano, all’interno del quale sarà possibile ammirare oggetti preziosi esempi pregevoli di arte e fede nonché una ricca collezione di arredi della Cattedrale.

La Chiesa di San Francesco è una delle più antiche della città, risale all’XI sec e con la sua semplicità e la sua sobrietà architettonica rispecchia in toto il tipo di religiosità a cui è ispirata. Notevoli le opere custodite al proprio interno, come “Il Martirio di San Sebastiano” di Giovanni Todisco.

Proseguendo lungo il corso, si arriva a Piazza Matteotti sulla quale si affaccia la sede del municipio e un piccolo edificio sacro, il Tempietto di San Gerardo. Pietra miliare del passeggio potentino, che originariamente era una neviera, protegge tra le sue colonne sovrastate da una singolare cupola, un busto in stile neorinascimentale ritraente il Santo.

In uno dei vicoli adiacenti a via Pretoria sorge nascosto e rivestito di mattoni rossi d’Avigliano un altro luogo sacro degno di nota, la Cappella del Beato Bonaventura, casa natale di frate Bonaventura, santificato da Papa Pio VI nel 1775.

Per gli amanti dell’arte figurativa sarà d’uopo una visita alla Galleria Civica, cui sono annessi i locali della Cappella dei Celestini, entrambe ospitate all’interno di uno dei palazzi nobiliari più importanti della città: Palazzo Loffredo, già sede del Museo archeologico nazionale Dinu Adamesteanu. Qui vengono allestite ogni anno singolari mostre di autori italiani ed europei. Di fronte, di recente aperto al pubblico, il “Palazzo della cultura”, luogo deputato ad ospitare eventi e manifestazioni e sede dell’infopoint turistico comunale. 

Tra una visita e l’altra sarà gradita una sosta nel luogo del ritrovo potentino, Piazza Mario Pagano, resa ancor più piacevole dalla degustazione di un ricco aperitivo presso uno dei locali che affacciano sulla piazza. Su questo ampio spazio, si affaccia con grande protagonismo il teatro storico F. Stabile, gioiello del centro potentino e teatro più antico e prestigioso della Basilicata.

Percorrendo la strada centrale fino alla fine, si raggiunge un altro significativo elemento storico della città: la Torre Guevara, ciò che resta del maestoso omonimo castello.

E dopo questo viaggio nella storia e nelle architetture del capoluogo, si può gustare qualcosa di genuino e locale in simpatici ristorantini e storiche trattorie di cui è ricco il centro storico. Un tripudio di sapori e colori che illustra la tradizione enogastronomica lucana: salumi e formaggi accompagnati da verdure grigliate fanno da apripista a una variegata offerta di piatti tipici. Dagli invitanti peperoni cruschi, che arricchiscono i primi piatti di pasta fatta in casa accompagnata da mollica soffritta, ai saporiti sughi di carne che insaporiscono i ravioli farciti con ricotta fresca, alla carne alla brace protagonista dei secondi piatti, seguita da dolci di vario genere e amari di produzione locale.


Itinerario "Alla scoperta del lagonegrese"

itinerari culturali

Dall’affascinante Maratea unico sbocco lucano nel blu intenso del Mar Tirreno basta percorrere pochi km per trovare tutt’altri scenari. Connotati da un aspetto decisamente più collinare e montuoso sono i borghi dell’entroterra, diversi per morfologia e paesaggi hanno tutti una storia da raccontare.

Poco distante dalla perla del Tirreno si incontra la “città giardino”: Trecchina. Famosa per la produzione di castagne, dal sapore unico sono i dolci ed i gelati a base di questo frutto capaci di deliziare il palato di chiunque vi si fermi per una sosta. Ma Trecchina non offre solo dolci tentazioni, per gli amanti dell’outdoor tappa obbligata è senz’altro il Parco delle stelle. Ubicato sul monte di Serra Pollino in uno scenario naturalistico straordinario che permette di contemplare dall’alto la costa Tirrenica e il golfo di Policastro. L’emozionante Parco delle stelle è un unicum di bellezza paesaggistica e presenta diverse attrazioni ludico-adrenaliniche, oltre ad offrire la possibilità di praticare sport outdoor, passeggiate in bici o a cavallo, ma anche semplicemente rilassarsi immersi nel verde. Sul monte di Serra Pollino a 1099 metri di quota si può ammirare ancora il Santuario della Madonna del Soccorso, al luogo di culto vi si arriva partendo dal paese e percorrendo un sentiero, fra i più panoramici del lagonegrese, immersi nel verde incontaminato della natura.

Da Trecchina si prosegue all’insegna del borgo presepe di Rivello, posizionato su di un’altura da cui domina la Valle del Noce. Il piccolo borgo ha una struttura urbanistica particolare, sia perché si estende su tre colline Motta, Serra e Poggio sia perché la sua formazione è dovuta alla costituzione di due nuclei abitativi distinti in quanto in passato il paese fu conteso da Longobardi e Bizantini. Tale divisione si percepisce ancora oggi nelle architetture, nei riti, nell’urbanistica, vi è infatti un nucleo di rito latino sviluppatisi intorno alla Chiesa Madre di San Nicola e un altro di rito greco che si estende a partire dalla Chiesa Madre di Santa Maria del Poggio, entrambe ascrivibili al IX secolo. Fra i diversi luoghi di culto presenti sul territorio merita una menzione a parte il Convento di Sant’Antonio, risalente al Cinquecento è impreziosito da pregevoli affreschi realizzati dai fratelli Todisco. A Giovanni Todisco si deve l’affresco dell’Ultima Cena, situato nel refettorio, la sua particolarità sta nel mostrare pietanze assolutamente non canoniche, ma appartenenti alla tradizione enogastronomica locale. Molto sviluppato è anche l’artigianato, infatti il borgo è famoso per la produzione di oggetti in ferro e in rame.

Spingendosi più nell’entroterra sono scenari più collinari quelli che incontra il nostro sguardo, ecco Lauria città del Beato Domenico Lentini. Caratterizzata da un passato illustre viene ricordata per l’eroica resistenza dimostrata nel tentativo di fermare l’avanzata dell’esercito napoleonico che provocò l’incendio ed il sacco del 1806, resistenza che le valse il titolo di Semper fidelis conferitole dai Borbone. La città è nota anche per la presenza sulla rocca dell’Armo oltre che del Santuario della Madonna Assunta, antica laura basiliana, dei resti del castello Ruggero che prende il nome dal sanguinario ammiraglio aragonese famoso per essere uscito vittorioso da tutte le battaglie alle quali partecipò. Chi visita la città può deliziare il palato con i tanti prodotti tipici fra cui vanno menzionati il biscotto a otto, i viscuttini c’ u naspru e gli anginetti, riconosciuti come prodotti Deco.

Da Lauria si giunge verso Nemoli, pittoresca località caratterizzata da un intreccio di vicoli, gradinate e palazzi settecenteschi, situata a pochi chilometri dal lago Sirino. Il suggestivo bacino d’acqua, circondato dal verde e dalle case che letteralmente si affacciano su di esso, è meta ideale per passeggiate rilassanti e rinfrescanti nella calura delle giornate estive, mentre in autunno diventa meta prediletta per gli estimatori del foliage. In diversi periodi dell’anno è palcoscenico naturale di vari spettacoli che prevedono giochi di luci e suoni direttamente sull’acqua.

Ultima tappa nell’area è la città di Lagonegro, caratterizzata da un impianto medievale, ha una struttura urbanistica particolare, infatti sembra aggrappata ad una rupe costellata da viuzze strette e ripide con numerose chiese. Nella parte più antica del borgo sono ancora visibili i resti del castello feudale che dominano l’intero abitato. La città è famosa per aver dato i natali al celebre e compianto cantautore lucano Pino Mango e anche perché, secondo una leggenda, all’interno della Chiesa di San Nicola pare che trovino eterna dimora le spoglie della celebre musa leonardesca Monnalisa che la tradizione popolare tramanda che qui morì durante un suo viaggio.


Itinerario "Alla scoperta della perla del Tirreno, Maratea"

itinerari culturali

A ritroso nella storia
Le origini di Maratea sono da ascriversi a tempi lontani, forte è l’influenza greca che si sente già a partire dal toponimo che deriverebbe da Marathia, termine ellenico che significa luogo dove cresce il finocchio, ma per i Greci era conosciuta anche come Thea maris, la Dea del mare.
La città tirrenica custodisce tesori archeologici sulla terra e nei fondali, da sempre si è trovata lungo le antiche rotte delle navi greche e romane, tanto che la sua costa è stata fin dall’antichità approdo per diversi popoli.
Gli antichi migranti si fermavano presso la vicina isola di Santo Janni, qui infatti è stato scoperto un giacimento di ancore greche e romane e resti di vasche utilizzate per la produzione di garum, una salsa a base di interiora di pesce utilizzata dai romani per insaporire il cibo.
La storia antica di Maratea non si legge solamente lungo la costa, ma anche in un altro sito di interesse storico quello sul monte San Biagio, in località conosciuta come castello. Qui intorno al VI sec i monaci basiliani fondarono un cenobio e più tardi vi si rifugiarono i profughi di Blanda costretti ad abbandonare la propria città. In questa zona dalla posizione strategica nel corso dei secoli si sono succeduti anche Longobardi e Normanni, che trasformarono via via l’area in una vera e propria cittadella fortificata.
Nella zona ci fu anche il primo insediamento abitativo di Maratea superiore, successivamente vista la crescita demografica della popolazione gli abitanti verso l’XI-XII secolo migrarono verso valle dando vita a Maratea inferiore, ossia l’attuale centro storico. I due nuclei abitativi si mantennero distinti fino al 1808, quando in seguito all’attacco francese del 1806 furono distrutte le mura e gran parte della città fortificata di Maratea superiore, così che i superstiti furono aggregati alla popolazione di Maratea inferiore e formarono un unico municipio, l’attuale Maratea.
In realtà, la storia della perla del Tirreno sarebbe iniziata già in epoca preistorica, in quanto sono stati fatti dei ritrovamenti di utensili litici, di materiale fittile e di resti di capanne che testimonierebbero la presenza dell’uomo sul territorio già quarantamila anni fa.
Ulteriore testimonianza dell’esistenza dell’abitato nelle diverse epoche storiche sono le torri costiere di avvistamento, costruite dai saraceni lungo la scogliera per difendersi dalle incursioni via mare. Fra le più conosciute quella di Apprezzami l’asino, dei Crivi, di Acquafredda, Filocaio, Santavenere e Caina che formavano un vero e proprio sistema difensivo.
Nella frazione di Castrocucco poi, su un’altura che domina la costa di Maratea e l’intero Golfo di Policastro, si può ammirare in tutto il suo fascino il rudere di un castello sottoposto a vincolo monumentale da parte del Ministero per i beni culturali.
I numerosi ritrovamenti rinvenuti nei fondali presso l’isolotto di Santo Janni, come anfore, ancore vasche e altri reperti sono oggi visibili nella mostra “Dal mare alla terra. Archeologia subacquea a Maratea” nelle sale del settecentesco Palazzo De Lieto che insieme a Villa Nitti, un tempo residenza estiva del grande statista lucano, costituiscono due dei luoghi artistici di maggior pregio del territorio.

La città delle 44 chiese e del Cristo Redentore
Maratea è conosciuta come la città delle 44 chiese, tanti infatti sono i luoghi di culto sparsi sul suo territorio, di questi una ventina sono dedicati alla Madonna tanto che la perla del Tirreno può essere definita come una città mariana, anche se il vero culto che connota Maratea è quello legato al suo Santo Patrono: San Biagio. La “bella signora” del Mar Tirreno è caratterizzata da un territorio irregolare, che non si sviluppa in maniera omogenea solamente nel borgo, ma che si espande fino al monte San Biagio connotato da quello che è il simbolo della città: la statua del Redentore. Il Cristo di Maratea, fatto erigere per volontà dell’industriale Rivetti nel 1965 e realizzato dall’artista Bruno Innocenti, svetta fiero nel punto più alto della città dominando tutto il Golfo di Policastro, con il suo bianco accecante dato dalla purezza del marmo di Carrara e con i suoi 22 m di altezza si staglia contro l’azzurro intenso del cielo. Raggiungibile mediante un percorso fatto di tortuosi tornanti dalla vista mozzafiato, è seconda per dimensioni solo alla statua del Cristo di Rio de Janeiro.

Una costa incantevole
A partire dal punto più alto di Maratea il suo territorio va digradando fino alla costa di Castrocucco, passando dal porto e dalle frazioni di Fiumicello, Brefaro, Acquafredda, Massa, Marina, Cersuta e Santa Caterina. Numerose sono sia le spiagge che caratterizzano la costa, alcune di piccole dimensioni e raggiungibili solo via mare, sia le grotte naturali, come la Grotta delle meraviglie in località Marina di Maratea, uno spettacolo naturalistico unico, con stalattiti e stalagmiti create dall’infaticabile azione dell’acqua. I suoi trenta chilometri di costa sono stati più volte insigniti della bandiera blu e rappresentano un vero e proprio eden in terra, a tratti selvaggio e incontaminato, con un gioco di anfratti, gole, insenature e deliziose calette che offrono un rapporto esclusivo con la natura. Sul tratto di costa di Acquafredda si snodano le spiagge dell’Anginara e Luppa, divise da una scogliera con sabbia scura e ciottoli, di Grotta della Scala, di Porticello e Marizza. Da sempre, fra le più celebrate in località Cersuta, la spiaggia d’u Nastru, mentre in località Porto quella d’I Vranne. Più ampie delle precedenti e anche più adatte per i bambini, vista la facilità con la quale si possono raggiungere, la spiaggia di Fiumicello e quella di Castrocucco. Resa particolare dal colore scuro della sua sabbia, la Spiaggia nera è incorniciata dalla folta vegetazione della macchia mediterranea che si estende quasi fino al mare. Degne di nota per le loro particolarità morfologiche e per le loro bellezze paesaggistiche le spiagge della frazione Marina di Maratea, tra tutte Illicini, Cala Jannita e Macarro.
Unica nel suo genere la spiaggia della Secca caratterizzata dal basso fondale e da numerosi scogli causa, in epoche passate, di diversi naufragi testimoniati dagli svariati reperti archeologici affiorati dal mare.

Il porto
Palcoscenico di scambi commerciali soprattutto nel corso del Settecento, negli anni d’oro di Maratea, e oggi uno tra i più suggestivi approdi turistici del Mediterraneo è il porto. Raggiungibile anche da imbarcazioni di notevoli dimensioni costituisce un punto di collegamento fra il Tirreno e l’entroterra. Da qui partono numerose escursioni per ammirare gli angoli più segreti della costa, le spiagge raggiungibili solo via mare e per svolgere diverse attività come la pesca notturna di totani. Oggi è un luogo turistico di eccellenza, grazie anche ai numerosi locali che si affacciano sulla pittoresca baia

I prodotti tipici
In ultimo, ma non per importanza vanno menzionati i prodotti tipici che fanno di Maratea un paradiso non solo per gli occhi, ma anche per il palato. Come non menzionare provenienti dalla frazione di Massa i rossi, succosi e giganteschi pomodori, le mozzarelle, la treccia e il caciocavallo, ma anche la gilò (la melanzana rossa allungata), la Carruba, i capperi sotto sale, le alici salate, gli aliciocculi, il garum un tempo prodotto nell’isola di Santo Janni. Questi prodotti sono stati i primi ad ottenere la Denominazione comunale “Maratea De.C.O.”, marchio che evidenzia il loro legame con la storia e le tradizioni della perla del Tirreno.