Melfi è la città federiciana per eccellenza, all’estremo nord della Basilicata, nella provincia di Potenza e nel cuore del Vulture, vulcano ormai spento. L’Imperatore Federico II di Svevia scelse il castello normanno svevo come residenza estiva e nelle foreste del Vulture praticava la falconeria, il suo hobby prediletto…
Immersa nella splendida cornice paesaggistica del Vulture Melfese, la città federiciana ha una cinta muraria unica nell’Italia meridionale, circondata interamente da antiche mura normanne con torrioni di avvistamento.
L’abitato è dominato dal maestoso castello normanno-svevo, costruito, appunto, dai normanni e ampliato da Federico II di Svevia, nelle cui stanze, ha sede il “Museo Archeologico Nazionale del Vulture Melfese Massimo Pallottino”, in cui è custodita l’importante documentazione archeologica rinvenuta nel comprensorio del Vulture Melfese.
Melfi è uno scrigno di bellezze culturali e sacre da scoprire, come gli straordinari esempi di chiese rupestri di Santa Margherita e Santa Lucia (XIII sec.) scavate nel tufo, oltre alla splendida cattedrale di Santa Maria Assunta in stile svevo bizantino gotico, con soffitto a cassettoni decorato in oro zecchino.
Melfì è la città di Francesco Saverio Nitti, presidente del consiglio e ministro, nonché uno dei maggiori fautori del meridionalismo.
Melfi è anche tradizioni, con il corteo storico “La Festa dello Spirito Santo” e il “Convegno Nazionale di Falconeria”, e sapori, con il gustoso “Marroncino”, castagna che si può assaporare sono alle pendici del Vulture. Melfi, come numerosi altri comuni dell’area settentrionale della Basilicata, è la patria dell’Aglianico del Vulture DOC, prestigioso nettare dal colore rosso rubino e dal profumo inebriante.
Capitale del regno normanno, Melfi è la città federiciana per eccellenza, per il ruolo politico conferitole dall’Imperatore Federico II di Svevia.
Una serie di reperti attestano che l’area del melfese fosse abitata già nel neolitico. In seguito alla caduta dell’Impero Romano, con l’occupazione da parte di bizantini e longobardi, il centro assume una ruolo importante, che raggiunge l’apice con l’arrivo dei normanni.
Melfi è stata la sede di cinque concili tra il 1059 e il 1137, come il Concilio di Melfi III (1089), durante il quale papa Urbano II indisse la Prima Crociata in Terra Santa.
Durante il dominio normanno, con Roberto il Guiscardo vengono costruiti la cattedrale e il castello, ampliato poi sotto gli svevo con l’Imperatore Federico II, il quale sceglie proprio il maniero di Melfi come residenza estiva, praticando l’hobby della falconeria nelle foreste del Vulture. Nello stesso castello lo “Stupor Mundi” promulga le “Constitutiones Augustales”, codice che rivoluziona l’impianto giuridico del tempo fino all’epoca romana.
Con gli angioini, Melfi va incontro al declino, nonostante è Carlo II d’Angiò provveda alla ristrutturazione e l’ampliamento del castello. Seguiranno quindi si aragonesi.
Durante il dominio spagnolo, circa due secoli dopo, (1528) Melfi viene assediata dall’esercito francese subendo saccheggi e incendi, nel 1531 la città è sotto il governo dalla famiglia Doria di Genova. La città non sfugge al fenomeno del brigantaggio, dopo l’Unità d’Italia, subendo l’occupazione dell’armata del rionerese Carmine Crocco (1861).
Nel 1868 a Melfì nasce Francesco Saverio Nitti, presidente del consiglio e ministro e tra i maggiori fautori del meridionalismo.
Melfi è uno dei centri culturali più vivi della Basilicata, per il suo castello normanno svevo, sede anche del Museo Archeologico, e le numerose altre architetture che la rendono meta irrinunciabile.
Il percorso nella città federiciana, tra palazzi storici e la casa natia del meridionalista Francesco Saverio Nitti, conduce fino alla Porta Venosina, l’unico accesso ancora esistente, da cui è possibile ammirare una piccola parte delle antiche mura della città e l’affascinante panorama del Vulture.
Da non perdere è anche il patrimonio sacro costituito principalmente dalla Cattedrale di Santa Maria Assunta e dalle mistiche chiese rupestri di Santa Margherita e Santa Lucia (XIII sec.), ma si consiglia di visitare anche il Museo Diocesano.
IL CASTELLO NORMANNO SVEVO
Chi sceglie di intraprendere un itinerario tra i luoghi della cultura a Melfi, potrebbe lasciarsi guidare dalle impressioni del paesaggista e scrittore inglese Edward Lear, che nella metà del XIX secolo definisce il castello di Melfi “degno dei migliori quadri di Poussin”.
Dall’alto della sua posizione, proprio sulla cima della città del Vulture, è considerato uno tra i più importanti castelli medioevali del Meridione d’Italia, impreziosito dal Museo Archeologico Nazionale del Vulture Melfese “Massimo Pallottino”.
La storia del maniero è legato alle figure di spicco che si sono succedute nel corso degli anni e dei secoli a Melfi: voluto da Roberto il Guiscardo, ampliato da Federico II, dotato di nuove torri da Carlo I d’Angiò, rimaneggiato dai Caracciolo e dai Doria. A vederlo quasi emerge sulla sommità di un colle, non si può non condividere l’opinione di quanti lo considerino il castello più noto della Basilicata e uno dei più grandi del sud Italia.
Subito si impongono allo sguardo le dieci torri, sette rettangolari e tre pentagonali, dei quattro ingressi, tre sono angioini, e attraverso uno di essi, aperto di Doria, si accede al borgo attraverso un ponte, un tempo levatoio. Superato il portone, si entra nel bel cortile principale, su cui affacciano il palazzo baronale e la cappella gentilizia.
Al piano terra del castello è ospitato il Museo Archeologico Nazionale del Melfese, in cui è custodita l’importante documentazione archeologica rinvenuta nel comprensorio dell’area, mentre nella torre dell’Orologio si può apprezzare lo splendido Sarcofago romano, ritrovato nel 1856, noto anche come “Sarcofago di Rapolla”, perché un tempo conservato nella piazza della cittadina del Vulture.
Appartenuto di certo a un personaggio di rango elevato, è un raffinato prodotto della seconda metà del II secolo proveniente dall’Asia Minore. Sul coperchio è raffigurata la defunta sdraiata.
LA PORTA VENOSINA
È l’unico dei sei accessi alla città ancora esistente lungo la cinta muraria e prende il nome dal fatto che essa partiva da un’arteria che conduceva alla via Appia, quindi a Venosa.
Circondata interamente da antiche mura normanne con torrioni di avvistamento, Melfi ha una cinta muraria unica nell’Italia meridionale della quale fa parte l’incantevole Porta Venosina, in stile gotico e con portale a sesto acuto con l’archivolto a toro scanalato, sostenuto da capitelli a tronco di piramide rovesciata.
La porta è affiancata da due bastioni cilindrici ‘400, a rafforzamento delle capacità difensive, ed è impreziosita da due bassorilievi che la affiancano, quello di destra raffigurante lo stemma di Melfi, l’altro, a sinistra, quello dei Caracciolo. Alla lapide celebrativa dell’antica gloria e della grandezza della città, voluta da Federico II, è stata sostituita quella di Giovanni II Caracciolo ancora oggi visibile.
Olio, vino, formaggi, castagne, portano sulla tavola sapori, aromi e profumi indimenticabili, tipici di un banchetto nella città di Melfi, ovunque lo si consumi.
Il Vino Aglianico del Vulture Doc trova anche a Melfi uno dei principali centri di produzione fino a presentarsi sulle tavole lucane, italiane e del mondo corposo, con il suo colore purpureo e dal profumo deciso ma fruttato, asciutto e armonico.
Degni compagni di viaggio in un itinerario enogastronomico sono anche la pasta e il pane preparati a mano dal grano duro delle campagne di Melfi e l’olio dal sapore robusto e apprezzato ormai a livello internazionale perché ottenuto dalla varietà di olive “Ogliarola del Vulture”, cresciute su suolo vulcanico.
Tripudio per il palato è il saporito “Marroncino di Melfi”, prelibata castagna grande e di forma tondeggiante, dal colore marrone lucido ideale per le caldarroste, ma molto apprezzata anche se consumata fresca. Entrambe sono le modalità in cui il frutto maturato alle pendici del Monte Vulture viene offerto ai visitatori in occasione della prestigiosa “Sagra della Varola”, ogni anno a ottobre.
Non si può non ricordare che in località Monticchio Bagni, a Melfi, sono imbottigliate le acque “Gaudianello”, effervescente naturale e frizzante, e “Leggera”, naturale che portano sulle tavole italiane il gusto e la purezza di acque uniche.
La splendida città di Melfi sorge a nord della provincia di Potenza, alle pendici del Monte Vulture, vulcano attivo fino al Pleistocene superiore ma ormai spento.
L’area del Vulture è uno dei luoghi più intimi e paesaggistici della terra lucana e i versanti del vulcano sono ricoperti da una fitta e rigogliosa vegetazione favorita dalla naturale fertilità dei terreni. Proprio tra le sue selve, a cavallo tra il 1861 e il 1863, trovano rifugio i protagonisti del fenomeno del brigantaggio post-unitario, che individua i suoi principali centri di sviluppo nei comuni di Melfi, Rionero in Vulture, Atella, Rapolla.
In questo scenario verdeggiante, a poco più di dieci chilometri da Melfi, si inseriscono i due Laghi di Monticchio, uno più grande, l’altro più piccolo e Riserva Regionale. I due specchi d’acqua sorgono proprio al posto del cratere del Vulture, vulcano ormai spento, e in essi si riflette la splendida Abbazia benedettina di San Michele.
Costruita sui fianchi dell’antico cratere, l’abbazia, insieme ai resti del complesso di Sant’Ippolito, è la testimonianza tangibile della presenza di ordini monastici nel territorio del Vulture. Non sfuggono agli occhi più attenti gli affreschi risalenti alla metà dell’XI secolo.
L’Abbazia di San Michele è anche sede del Museo di storia naturale del Vulture che propone sette tappe (il cammino dell’uomo del Vulture; la via di fauna; la via di flora; la via di gea; laboratori e mostre temporanee; gli habitat e le collezioni; la culla della rara falena “Bramea”) di un percorso che va dall’Homo Erectus di Atella fino ai giorni nostri, alla conoscenza degli insediamenti urbani dell’area e all’esplorazione del mondo vegetale e animale.
Chi arriva nella frazione di Monticchio si sente proiettato in una dimensione di spiritualità e pace circondato da rare bellezze naturali.
Un prezioso patrimonio sacro fa di Melfi una meta imperdibile anche dal punto di vista spirituale, un aspetto che può senza dubbio arricchire l’itinerario da percorrere nella città del Vulture.
La tappa prioritaria deve essere fissata nella cattedrale dedicata Santa Maria Assunta, in stile svevo bizantino gotico, ma straordinario interesse destano nel visitatore alla ricerca del bello e dell’arte anche le due chiese rupestri di Santa Margherita e Santa Lucia, entrambe del XIII secolo e scavate nel tufo.
Passeggiando lungo il borgo della città federiciana e nelle immediate vicinanze si ha la possibilità di scorgere altri luoghi di culto di indubbio fascino e valore.
LA CATTEDRALE DI SANTA MARIA ASSUNTA
Dell’edificio normanno della cattedrale di Melfi edificato nel 1153 resta solo il campanile, mentre il corpo dell’edificio è stato quasi interamente rifatto nel XVIII secolo in stile barocco.
Inizialmente dedicata a San Pietro ed edificata da Roberto il Guiscardo, della originale cattedrale di Melfi non resta alcuna traccia. Il contrasto tra lo stile normanno del campanile e quello della facciata della chiesa è dovuto al rifacimento di quest’ultima a seguito del sisma del 1694. Bianca, è divisa da un cornicione ed entrambi i piani sono attraversati da lesene con capitelli corinzi, mentre il portale in pietra bianca è decorato da due angeli che sorreggono una cornice ovale.
A tre navate, bellissimo è il soffitto a cassettoni dorati che decora la navata centrale, con in fondo l’altare maggiore in marmi pregiati. Davvero pregevoli sono anche un trono splendente in legno intagliato, un coro ligneo del 1557, un organo e un pulpito del XVIII secolo.
Il campanile, a pianta quadrata, si sviluppa su tre piani decorati da imponenti teste di leoni in pietra bianca e bifore circondate da fregi policromi in lava scura e chiara, con l’eccezione, all’ultimo piano, dell’utilizzo di pietre vulcaniche bianche e nere del Vulture che compongono un mosaico.
LE CHIESE RUPESTRI DI SANTA MARGHERITA E SANTA LUCIA
Simboli della religiosità della città di Melfi quelle di Santa Margherita e Santa Lucia (XIII sec.) sono due straordinari esempi di chiese rupestri scavate nel tufo.
La chiesa rupestre di Santa Margherita custodisce pregevoli affreschi di santi raffigurati negli stili bizantino e catalano, la vita e il martirio di Santa Margherita e il noto “Monito dei morti” che sembra ritrarre proprio l’Imperatore Federico II di Svevia con la sua famiglia.
Nella chiesa rupestre di Santa Lucia si può ammirare un affresco raffigurante la vita e il martirio della Santa e una Madonna con Bambino in trono. Entrambi i luoghi sacri possono essere vitati su prenotazione.
IL MUSEO DIOCESANO
Il museo ha sede all’interno del Palazzo Vescovile di Melfi, in piazza Duomo, e si sviluppa su più livelli.
Il patrimonio dell’allestimento custodito nella città federiciana consiste in oggetti della diocesi, i quali possono essere ammirati lungo un percorso che conduce in una sala espositiva con argenti di scuola napoletana, fino a quella in cui sono conservati dipinti, reliquiari e affreschi vari.
Pezzo raro e di straordinaria bellezza è una Pietà in pietra del 1400 e colorata attribuita ad un artista meridionale.
Le terre assolate del Vulture, hanno spesso ospitato troupe cinematografiche e televisive, come accaduto per “Io non ho paura” di Gabriele Salvatores (2003).
Tratto dall’omonimo romanzo di Niccolò Ammaniti e ambientato in un piccolo borgo rurale della Basilicata, Io non ho paura è stato girato prevalentemente a Melfi, dove si sono aggirati interpreti del calibro di Diego Abatantuono e Dino Abbrescia.
Ma i veri protagonisti della storia, girata nella zona di San Leonardo, vicino la città federiciana di Melfi, sono i due piccoli amici, Mattia e Michele, l’uno sequestro e costretto a vivere dentro una buca scavata in un immenso campo di grano, l’altro, figlio dell’uomo che ha nascosto il suo compagno di giochi.
Non è un caso che il film abbia ottenuto il David di Donatello come miglior fotografia, attraverso la quale il pubblico del grande schermo ha potuto apprezzare i desertici e assolati campi di grano e le splendide vedute che il Vulture Melfese custodisce., il film è stato riconosciuto d’interesse culturale nazionale dalla Direzione generale per il cinema del Ministero per i Beni e le Attività Culturali italiano.
A Melfi sono stati girati anche alcune mini serie per la Rai come L’eredità della priora (1980) di Anton Giulio Majano, ambientato soprattutto in Basilicata durante il periodo del brigantaggio postunitario, fenomeno che ha interessato anche il territorio di Melfi, e Il generale dei briganti (2012) di Paolo Poeti, dedicato proprio alla figura del rionerese Carmine Crocco.
Nei boschi del Vulture si rincorrono colori accattivanti e profumi travolgenti da vivere in pieno tra escursioni a piedi o a cavallo, in bicicletta o in moto, ma anche dotati di ciaspole…
Tra dolci salite, antichi tratturi e viste panoramiche mozzafiato, nell’area del Vulture si possono affrontare itinerari diversi ed entusiasmanti. Ci si può spingere fino a spazi dominati da alberi da frutto, uliveti e vigneti, castagneti, come nel Bosco Laviano, e morbidi manti di querce e faggi secolari che si alternano ad immense distese di campi di grano dorati.
Gli appassionati di trekking a piedi e a cavallo, ma anche di percorsi in bici, possono soddisfare in pieno le proprie emozioni inoltrandosi fino all’area in cui si svelano, meravigliosi, i due laghi vulcanici di Monticchio, circondati da boschi, coste verdeggianti, altopiani sconfinati e sentieri che conducono verso paesaggi da fiaba.
I percorsi praticabili sono quelli un tempo calcati anche dai briganti capeggiati dal generale rionerese Carmine Crocco e si inerpicano, vertiginosi, in direzione dell’Abbazia benedettina di San Michele, fino alle infinite fontane del Vulture, fra grotte e anfratti.
Chi si avventura in questi itinerari è avvolto dal penetrante profumo di roveri e faggi mentre, girando lo sguardo verso i due laghi, uno più grande, l’altro più piccolo, gli occhi immortalano, come nitidi obiettivi, i fiori della ninfea alba, che galleggia, quasi sfiorandole, solo su queste acque.
Non è raro, attraversando i boschi del Vulture, incontrare diverse e simpatiche specie faunistiche che qui trovano il proprio habitat naturale come uccelli l’usignolo e il picchio rosso, o il nibbio reale e il gheppio, ma anche la volpe e il cinghiale.
Il Vulture è il “paradiso” anche per gli amanti del mototurismo che possono accarezzare con le due ruote le curve che conducono fino al Monte Vulture, “circumnavigando” i laghi di Monticchio fino ad arrivare a Melfi.
Le sorprese che l’area settentrionale della Basilicata regala ai suoi ospiti non hanno limiti né stagioni, infatti anche in inverno, dal Bosco di Laviano, in territorio di Melfi, quando la neve accarezza le vette, calzati scarponi e ciaspole si può intraprendere un percorso a piedi lungo un sentiero in salita attraversato dagli immancabili castagneti, per poi raggiungere la località Fontana dei Preti, sempre più su e sempre più vicini alla cima del monte Vulture (1328 mt).
L’importante documentazione archeologica rinvenuta nel comprensorio del Vulture-Melfese è custodita all’interno del Museo Archeologico Nazionale di Melfi “Massimo Pallottino” che ha sede nelle restaurate sale del Castello normanno-svevo.
Disposto su due piani, il museo presenta raffinate ceramiche daunie a decorazione geometrica che compongono corredi funerari di VII-III sec. a.C. con armature in bronzo, ornamenti in argento, oro, ambra e vasi in bronzo di produzione greca ed etrusca. Rinvenuti nel territorio di Lavello e appartenenti alla fase di IV-III sec. a.C. sono le ceramiche magno greche a figure rosse e i monumentali vasi a decorazione policroma con figure applicate di produzione canosina.
In una sala a piano terra è conservato lo straordinario sarcofago di Rapolla (II sec. d.C.) in marmo con decorazione a rilievo, riferibile a botteghe dell’Asia minore. Lungo il percorso sono visitabili le Sale Doria, con alcuni arredi originali del XVIII secolo e tele secentesche.